Il racconto del venerdì: Dopo il buio - l'anomalia
Riprendo la rubrica pubblicando un nuovo racconto di fantascienza
Da questa settimana inizio a pubblicare un racconto lungo ambientato nell'universo di Dopo il buio, il libro di fantascienza che ho pubblicato a fine marzo di quest'anno.
Il racconto è suddiviso in quattro parti e si svolge in un periodo che precede la storia raccontata nel libro. Non è necessario conoscere il libro per leggerlo, si tratta di una storia auto conclusiva. Anche questa è una storia corale, come il libro, in cui però spicca un protagonista.
Ogni venerdì pubblicherò una parte nuova e metterò i link per accedere alle parti precedenti.
Spero che il racconto vi piaccia, buona lettura!
L'anomalia
Di Alex Martell
1.Una nuova missione
2.L'incontro con l'anomalia
3.Immersi nell'oscurità
4.Lotta per la salvezza
Una nuova missione
Respirava a fatica, costretto in uno spazio minuscolo dalle pareti di metallo argenteo. Reggeva una pesante chiave con il braccio destro proteso in avanti. Il suo fiato appannava la parete, altrimenti lucida.
Stava manovrando una chiave torsiometrica per regolare con precisione i bulloni di giunzione di una canaletta di sfogo del plasma. Il locale era gelido, il che era buffo pensando che a sole poche decine di centimetri da lui correva un condotto all'interno del quale fluiva il plasma proveniente dai motori della nave.
L'operazione era un semplice intervento di routine, anche se richiedeva la presenza di Yuri. Da ingegnere apprezzava il design dei sistemi della nave spaziale, ma ogni volta che si trovava in quell'angusto e freddo cunicolo malediceva i progettisti. Sudava per lo sforzo e a ogni respiro le sue costole finivano compresse sul gelido metallo che lo circondava.
Era uno dei posti meno sicuri dell'intera nave. Ammesso che si potesse considerare sicuro stare a bordo della prima astronave costruita dall'uomo in circa seicento anni.
"COME PROCEDE?" gli urlò vicino all'orecchio la sua collega. Il plasma che fluiva nei condotti attorno a loro generava un fastidioso ronzio. Un frastuono che rendeva difficile sentire qualunque altra cosa. Per comunicare bisognava stare vicini e pure così serviva alzare la voce, quasi urlare.
"Ci sono quasi," gli uscì come un sussurro di bocca per la fatica e la concentrazione.
Lei percepì appena il suono, senza distinguerne le parole: "COSA HAI DETTO?"
Yuri riempì i polmoni d'aria prima di rispondere: "HO FATTO!" Mentre stava ritraendo il pesante utensile con un braccio tremante per via degli spasmi dovuti allo sforzo prolungato. Passò la chiave alla collega che la prese con attenzione per poi riporla nell'apposito alloggiamento della cassetta degli attrezzi.
"DIREI CHE CON QUESTO ABBIAMO FINITO LA MANUTENZIONE," sentenziò.
"URRÀ!" replicò lei, anche se lo aveva sentito appena. Si avvicinò a lui: "TI VA DI ANDARE A MANGIARE QUALCOSA?"
Yuri non rispose; aveva appena recuperato il fiato e stava con l'intero peso sulla parete metallica aspettando che lei cominciasse a scendere.
Sarah richiuse la cassetta degli attrezzi assicurandosi che fosse ben sigillata e poi guardò in basso, alla base della scalinata dove c'era l'altro collega che li osservava. Appena furono in contatto gli fece il cenno convenuto per comunicare che avevano terminato e stavano per scendere. Il ragazzo sorrise e ricambiò con un gesto di saluto per mostrare che aveva capito.
La ragazza si rivolse nuovamente verso Yuri: "HAI SENTITO QUELLO CHE HO DETTO?"
Yuri era infastidito dal rumore assordante, aveva sudato e il freddo cominciava a mordere, così gli uscì di bocca solo: "NON SAPREI..."
"PREFERISCI QUALCOS'ALTRO?" chiese lei con un sorriso accattivante sulle labbra.
Lui arrossì rendendo i suoi occhi azzurri ancora più intensi e penetranti. Lei diede uno sguardo di sotto e vide che Sergio era distratto, così con un passo si avvicinò a lui e allungò la mano per toccarlo mentre lo fissava dritto negli occhi.
"UNA DI QUESTE SERE, YURI," disse mentre passava la sua mano sui pantaloni di lui. Saliva piano ma con un movimento deciso.
Alla fine gli scappò un sorriso: "DAMMI SOLO IL TEMPO DI FARMI UNA DOCCIA."
Quando la mano fu al punto che voleva lei, strinse il palmo come per afferrare qualcosa e poi sorrise accennando un bacio con le labbra. Quindi si allontanò e cominciò a scendere. Yuri si spostò sulla scalinata e prese la cassetta degli attrezzi che assicurò alla spalla utilizzando l'apposita cinghia.
In pochi secondi scesero gli scalini e attraversarono il varco che il loro collega sigillò chiudendo una porta stagna alle loro spalle. Il rumore si attenuò senza sparire del tutto, rimaneva un discreto ronzio in sottofondo, ma almeno non era più necessario urlare per parlarsi.
Si trovavano nell'anticamera del condotto. Una stanza blindata il cui scopo era dare accesso a uno dei condotti dove fluiva il plasma in uscita dal motore della nave. Non era un posto accogliente: pareti metalliche lisce e curve, senza giunzioni. Sembrava di galleggiare all'interno di un mare d'argento. I novellini facevano fatica a camminare, anche se dovevano fare solo pochi passi. Con l'esperienza si imparava a fissare il portello d'uscita o quello di accesso al cunicolo del plasma. In questo modo non si perdeva l'orientamento. Entrambi i varchi erano chiusi da pesanti porte blindate. Ora, la squadra era uscita anche da questo locale e Sergio si apprestava a chiudere la seconda porta e a sigillarla come da prassi. Yuri aspettava che finisse senza dare segni di impazienza. Quando il collega ebbe finito, poté finalmente effettuare gli ultimi controlli di prassi assicurandosi che anche quella porta fosse opportunamente sigillata.
Si salutarono, il loro turno era concluso. Sarah e Sergio si diressero verso la mensa per mangiare qualcosa. Era più probabile che volessero bere un po', pensò Yuri, mentre lui si stava dirigendo verso la sala macchine per posare la cassetta degli attrezzi e fare il suo rapporto.
Si era laureato a pieni voti in ingegneria in un'università di una piccola città a qualche centinaio di chilometri a nord della capitale. Dove era nato ed era sempre vissuto, prima di partire per il programma spaziale. Si chiamava Novozarya. Il nome era dovuto ai coloni di origine russa che avevano fondato il primo insediamento. Ancora oggi la città conta almeno un terzo di abitanti che possono vantare una provenienza slava o più propriamente Rus'.
Dopo una lunga camminata attraverso gli stretti corridoi della nave spaziale, Yuri arrivò alla sala macchine. A dispetto del nome si trattava di un centro di controllo, una sala piena di scrivanie e monitor dove il personale poteva tenere sotto controllo tutti i sistemi che facevano funzionare l'astronave.
Si chiamava sala macchine perché era da lì che si controllavano tutti quei sistemi. C'erano i dispositivi manuali a ridosso delle varie apparecchiature, ma viste le dimensioni del vascello e la necessità di tenere al minimo il numero di membri dell'equipaggio, si procedeva con la telegestione da remoto.
Era il sistema più semplice e consolidato della nave perché i sistemi di reti di controllo elettroniche e l'automazione erano delle discipline molto note e sviluppate.
Yuri entrò dalla porta accennando un gesto di saluto con la mano verso coloro che si erano voltati o avevano alzato lo sguardo per via del rumore della porta che si apriva. Qualcuno ricambiò per poi tornare al proprio lavoro senza ulteriori distrazioni.
Posò la pesante cassetta degli attrezzi e si diresse verso la postazione del capo ingegnere per presentare il proprio rapporto. Non era il suo primo incontro con Narin Farmi, ma quella donna lo metteva ancora in soggezione: era la geniale capo ingegnere della nave.
Yuri la ammirava fin dal terzo anno di università, quando aveva studiato Meccanica del contenimento del plasma, un esame basato interamente sui testi e gli studi della dottoressa Narin Farmi. Amava i suoi scritti e, superato l'esame, aveva iniziato a leggere per conto suo le altre opere che aveva pubblicato.
Il lavoro sul contenimento del plasma attraverso l'utilizzo di campi cristallini era studiato nelle migliori facoltà di ingegneria perché era stato uno dei risultati tecnologici che avevano permesso la costruzione del motore iperspaziale. Questa tecnologia era già in possesso dei loro antenati, doveva esserlo per forza, perché anche loro avevano costruito delle astronavi capaci di fare balzi iperspaziali. Altrimenti, non sarebbero mai arrivati su Nuova Terra.
Doveva esserci stato un problema con i documenti storici: erano stati ritrovati solo cenni alla teoria, ma nulla di specifico. Anche i dettagli per costruire un sistema per manipolare il plasma all'interno di un motore iperspaziale erano stati persi per sempre.
Questi buchi nel sapere erano rari, ma c'erano. D'altronde conservare le informazioni era complicato e poteva succedere che qualcosa venisse smarrito. Specialmente se si trattava di conoscenze non utilizzate come quelle che riguardavano i viaggi spaziali.
Per questo motivo, molti scienziati, fra cui Farmi ci avevano lavorato. Lei cominciò appena terminato il suo dottorato e riuscì a sviluppare il primo sistema funzionante. Anche se il merito fu attribuito al suo professore, come era prassi. Le fu comunque riconosciuto il fatto di aver dato un contributo determinante. I suoi lavori successivi la consacrarono come scienziato, tanto da permetterle di rivendicare anche quel primo successo.
La cosa che stupì molto Yuri, quando lesse le altre opere del capo ingegnere, fu scoprire che non si trattava nemmeno del suo risultato più prestigioso. Era solo quello più famoso, grazie al fatto che rese possibile la missione dell'astronave Terra dove si trovava.
"Sono il capoturno Yuri Kuznetsov, pronto a fare il rapporto," disse con energia, attento a non alzare troppo la voce. Aveva ancora nelle orecchie quel fastidioso ronzio dei condotti.
La donna sembrava non aver sentito; continuava a fissare il monitor che aveva davanti agli occhi. Il giovane rimase immobile senza aggiungere altro, forse anche trattenendo il fiato per l'emozione del momento.
Passato un tempo piuttosto lungo, il capo ingegnere sollevò un sopracciglio e cominciò a fissare il giovane davanti a lei. La sua faccia era paonazza e sudava.
"Allora," disse con un'espressione che sembrava sorridente, "questo rapporto?"
Il volto di Yuri divenne ancora più rosso e sembrava essersi gonfiato.
"Certo," si affrettò a dire, "stavo solo, ecco... Aspettavo che lei..."
"Il rapporto!" esclamò Farmi con un tono secco. Sul suo viso aveva ancora quello strano sorriso che spariva sempre quando aveva terminato di parlare. "Abbiamo completato la manutenzione prevista nel condotto quattro. Non abbiamo riscontrato alcun problema."
La donna aggrottò la fronte e rimase in silenzio a fissare quel ragazzo. Conosceva perfettamente Yuri Kuznetsov e il suo percorso accademico; aveva preso lei stessa la sua scheda di candidatura e l'aveva messa nel faldone di quelle selezionate. Ora lo stava tenendo d'occhio; aveva grandi aspettative su di lui.
"Lo sa che cosa mi piacerebbe sapere?" disse dopo una pausa che valutò essere sufficientemente lunga.
Il ragazzo rimase in silenzio, impietrito, senza riuscire a rispondere. Non sapeva a che cosa si riferisse e aveva la terribile sensazione di essersi dimenticato qualcosa. Qualcosa di importante.
"Vorrei conoscere," riprese la donna con calma e con quella solita smorfia con la quale parlava, "i dettagli dei parametri di tensione dei bulloni del condotto del plasma numero quattro."
Yuri rimase in silenzio, il rossore stava svanendo, ora il suo volto cominciava a essere pallido. Istintivamente si voltò verso la cassetta degli attrezzi.
"Esattamente!" gli confermò Farmi: "Avrei potuto saperlo, se lei avesse provveduto a collegare le chiavi tensometriche appena entrato."
Lo fissò con uno sguardo severo e poi aggiunse: "Invece di correre qui a farfugliare: sono pronto a fare rapporto."
"Collego le chiavi?" disse con un filo di voce Yuri.
"No," lo fermò il capo ingegnere, "il suo turno è finito, vada a mangiare e si riposi. La prossima volta non lo dimentichi."
Sentite quelle parole Yuri si congedò e uscì dalla sala macchine a testa bassa. Si accorse di andare in direzione della mensa ma si fermò; non era dell'umore per incontrare altre persone. Si voltò e si diresse verso gli alloggi dove si mise sotto una lunga doccia. La bassa temperatura e pressione dell'acqua non gli furono di conforto.
"Allora cominciamo!" esordì il capitano Girard guardandosi attorno e sorridendo amabilmente agli altri partecipanti alla riunione.
"Il nostro prossimo obiettivo è qualcosa di veramente interessante!" proseguì con un tono piuttosto entusiasta e squillante.
"Acchiapperemo un asteroide al lazo?" ironizzò Farmi.
"Non siamo qui per divertirci!" ammonì la dottoressa Giuseppina Giannotti Levy, che era la responsabile della missione scientifica a bordo della nave.
"Ma certo," la rassicurò il capitano con la sua espressione bonaria dovuta al sorriso amichevole e alla folta barba.
La dottoressa Levy aveva sempre pensato che quella peluria superflua sul suo viso dovesse compensare la carenza che lamentava al di sopra. L'atteggiamento del capitano la metteva sempre a disagio.
"Allora mettiamoci al lavoro," insistette la dottoressa.
"Detto fatto," riprese il capitano che poi introdusse l'obiettivo prendendo in mano il suo tablet e inserendo un codice e poi applicando il pollice sullo schermo. Quindi passò il rettangolo alle altre due che lo imitarono inserendo il proprio codice e sottoponendo le impronte digitali. Era così che si poteva accedere alla lettura di ogni nuova missione dell'astronave.
I dati erano inseriti dalla base di controllo su Nuova Terra e venivano trasmessi di volta in volta durante i momenti di comunicazione che avvenivano su iniziativa dell'astronave. Il motivo era che non sempre la comunicazione era possibile.
Se la nave si trovava dietro alla stella rispetto al pianeta, ogni tentativo di instaurare una comunicazione sarebbe fallito. Solo dall'astronave Terra potevano sapere quando sarebbero stati in una posizione idonea per parlare.
Il capitano riprese in mano il tablet e cominciò a leggere silenziosamente gli ordini provenienti dalla base.
"Sarebbe così cortese da renderci partecipi, capitano Nemo?" lo interruppe Farmi con il suo solito tono calmo e dalla lingua pungente.
Il capitano Girard, che tutti chiamavano bonariamente Nemo, rivolse uno sguardo sorridente e bonario verso l'ingegnere capo Farmi.
"Ma certo," le disse, "mi scuso, non volevo certo tenerlo segreto. Ero solo troppo curioso."
La dottoressa Levy stava tamburellando sul tavolo, le sue labbra erano strette e il viso tirato. "Che si stia mordendo la lingua?" pensò il capitano.
"Mi dicono che è stata rilevata un'anomalia gravitazionale al confine del sistema stellare. Le coordinate indicano un punto che sta a metà fra l'orbita dell'ultimo pianeta e la fascia di corpi celesti che orbitano ai limiti del nostro sistema."
"Intende la fascia di Kuiper1," lo corresse la dottoressa Levy, che proseguì: "le sue indicazioni non sono molto precise, si tratta di uno spazio enorme. Potrebbe darci qualche dettaglio in più?"
"Ha ragione, dottoressa, mi scusi," riprese il capitano, "rispetto alla nostra posizione attuale, le coordinate indicano una zona dall'altra parte del sistema. Ci vorrà un balzo per arrivarci: parliamo di una distanza di almeno 25 UA, poco meno di quattro miliardi..."
"Non sta parlando davanti a una scolaresca o a un gruppo di politici," lo interruppe la dottoressa Levy. "I presenti in questa stanza sanno benissimo che una UA è pari a 150 milioni di chilometri. Il resto è una semplice moltiplicazione."
"Dottoressa Levy," intervenne l'ingegnere capo, "avrebbe dovuto permettere al capitano di dimostrare la sua preparazione."
La donna, già accigliata, lanciò uno sguardo obliquo verso Narin Farmi, che non si scompose mantenendo quella sua espressione serena e di superiorità che la caratterizzava. La capo scienziata invidiava a Farmi la mente brillante e quella sua capacità di effettuare calcoli a mente e, soprattutto, la sua altezza. Quella donna era così alta e imponente da mettere in soggezione chiunque.
"Ingegnere capo," riprese Girard, "quanto prevede che ci voglia per uno spostamento così?"
"Prima di darle una mia stima," rispose Farmi con la sua solita smorfia in cui curvava le labbra a forma di un sorriso, "avrei bisogno di conoscere la natura di questa 'anomalia'. Il rapporto menziona qualche altro dettaglio?"
"Ha ragione, avevo omesso di dire che l'anomalia è una specie di campo termico con distorsioni gravitazionali."
"Potrebbe essere un qualche asteroide di grosse dimensioni immerso in una nube di polvere?" suggerì Farmi.
"Dubito che un asteroide abbia una massa tale da costituire un'anomalia gravitazionale," ribatté la dottoressa Levy.
"Tuttavia," riprese pensierosa, "potrebbe essere la risposta riguardo al campo termico..."
"Ingegnere capo?" Il capitano aspettava la risposta.
"Ritengo che possiamo raggiungere la posizione in una giornata. Basta un micro balzo. Ma prima occorre eseguire una diagnostica ed effettuare gli opportuni rilevamenti per stabilire il punto esatto d'arrivo."
"Bene, bene," commentò il capitano Nemo, "allora proceda, salteremo appena pronti."
Poi si rivolse al capo scienziato: "Dottoressa Levy, di quanto tempo avrà bisogno per una prima raccolta di dati sull'anomalia?"
"Una settimana," rispose immediatamente, "due al massimo."
"Ragionevole. A questo punto ci siamo detti tutto quello che dovevamo."
Dopo quelle parole il trio si alzò dalle scomode poltroncine e si congedò senza troppi convenevoli.
Uscendo, la dottoressa Giuseppina Giannotti Levy si diresse a passo svelto verso l'area dei laboratori. Mentre camminava affannata e rifletteva su che cosa avessero realmente osservato da Nuova Terra. L'entusiasmo le stava crescendo in petto e si sentiva piena di energie. "Se fosse un nuovo tipo di nebulosa? Oppure potrebbe trattarsi di un'insolita concentrazione di materia oscura. Perché no? Ma quella era un mito antico, sembrava fosse dovuta alle misure poco precise dei loro strumenti. Nient'altro che un'allucinazione. No, aspetta, era un errore delle equazioni della relatività generale. Quando fu rivista e corretta non rilevarono più materia oscura. È vero, ora ricordo. Infatti noi non ne teniamo più conto. Potrebbe essere qualunque cosa. Attenta, Giuseppina, potrebbe anche essere il nulla. Un abbaglio. Un'allucinazione. Un semplice errore di misura."
Camminava cercando di contenere il suo entusiasmo. La scienza richiedeva sangue freddo, apertura mentale, logica e accettazione della realtà. Una realtà magnifica piena di misteri e sfide appassionanti, ma anche crudele e banale.
Arrivata al laboratorio, radunò il suo staff per organizzare le osservazioni e le misure necessarie nel più breve tempo possibile; non desiderava perdere nemmeno un istante. Voleva che tutto fosse pronto in tempo per quando fossero arrivati, in modo da poter cominciare l'esplorazione.
Il capitano Girard fu l'ultimo a uscire dalla stanza della riunione e sembrava non avere alcuna fretta di recarsi al suo posto in plancia. Era comprensibile: doveva attendere che i motori fossero pronti al balzo. Aveva tempo. Per ora non serviva impartire ordini particolari. Il suo lavoro sarebbe cominciato solo all'arrivo nelle prossimità dell'anomalia.
Ma non era questo il motivo della calma apparente del capitano. Prima di tornare in plancia passò dalla sua cabina e si chiuse dentro. Quando si sentì da solo, estrasse una busta dalla tasca. Era fra i documenti presenti con gli ordini per la nuova missione. Sapeva che era possibile inviare quel tipo di messaggio. Gli era stato spiegato durante il periodo di preparazione per la missione. I sistemi della nave erano predisposti per ricevere messaggi particolari che sarebbero stati stampati su carta e sigillati in una busta. Nulla di quelle informazioni sarebbe rimasto nei sistemi al termine della trasmissione. Era un modo per garantire la sicurezza nella comunicazione di informazioni delicate destinate esclusivamente al capitano. Ora si trovava davanti a uno di questi messaggi indirizzato esclusivamente a lui e con sopra scritto: RISERVATO.
Esaminò la busta attentamente e non vi erano dubbi che fosse destinata solo a lui. Il protocollo prevedeva che nessun altro sulla nave potesse accedere al livello di sicurezza RISERVATO, soltanto lui. Doveva essere il primo e l'unico a leggere quegli ordini. Avrebbe dovuto svelare solo lo stretto necessario e soltanto a chi doveva operare secondo gli obiettivi di quei misteriosi protocolli.
Quando ebbe finito di rigirare la busta assicurandosi che fosse ancora completamente sigillata, verificò che non era nemmeno possibile provare a leggerla mettendola controluce. L'afferrò con entrambe le mani e l'osservò attentamente per un'ultima volta. Si spostò sul piccolo tavolo che usava come scrivania, dal quale afferrò un oggetto lungo e sottile, quasi affilato, che utilizzò come tagliacarte; con un gesto rapido e sicuro aprì la missiva. Estrasse con cura il foglio che vi era contenuto, lo lesse attentamente un paio di volte e poi lo distrusse assieme alla busta.
Uscito dalla doccia, Yuri si diresse verso la branda. Dopo la strigliata che aveva ricevuto voleva solo farsi una bella dormita. Doveva alzarsi presto; il suo turno sarebbe cominciato fra meno di cinque ore. Per lui erano più che sufficienti, dato che aveva sempre dormito poco e l'assenza di sonno non gli era mai pesata.
Il pensiero corse alla proposta di Sarah. Si sentiva frustrato, quasi arrabbiato. Era in uno stato tale che avrebbe rischiato di rovinare tutto. E poi, a quell'ora, poteva già essere ubriaca e addormentata in qualche angolo della nave. Magari dopo aver preso a pugni Sergio per aver allungato troppo le mani.
Non era geloso; la storia con Sarah era più un passatempo che qualcosa di serio. Almeno finché fossero rimasti entrambi imbarcati. A missione finita, se fossero ancora stati insieme, chissà? Per il momento considerava gli incontri con la ragazza alla stregua di sedute di terapia. Momenti di distacco dalla realtà per recuperare le forze e tornare concentrato.
Ripensando al suo nome, il suo pensiero scivolò al suo corpo liscio e sodo. Le curve perfette, la pelle morbida e profumata. Quei capelli corti su cui amava passare le dita. I seni alti e sodi che premevano sul suo petto oppure morbidi al tatto.
Scrollò la testa; i capelli ancora bagnati spruzzarono gocce d'acqua ovunque. Il gesto non gli era servito a togliersi dalla mente quei pensieri. Doveva calmarsi, pensare a riposare e al prossimo turno.
Quando arrivò alla branda ci trovò Sarah seduta sopra. Sorrideva, si era già tolta i pantaloni e indossava solo le mutandine e una canottiera molto attillata. Appena si videro, lei si alzò e si levò la canottiera. Lui lasciò cadere l'asciugamano, l'unica cosa che lo copriva. Le andò incontro e la strinse fra le braccia. Si baciarono, prima con dolcezza, poi con maggiore energia, man mano che il coinvolgimento aumentava. Precipitarono sulla branda, che protestò gracchiando a causa del forte colpo dovuto al peso dei due corpi.
L'intimità della coppia fu interrotta da un improvviso rumore di passi. Lui si fermò per vedere chi fosse.
"Che fai! Non smettere!" ordinò lei.
"Aspetta," sussurrò Yuri, "vediamo chi è."
"Chi vuoi che sia? E che ci importa? Non fermarti!" insistette Sarah.
I passi si erano interrotti e, dato l'invito di lei, Yuri si immerse di nuovo nella sua seduta terapeutica che aveva già dato i suoi frutti, facendogli dimenticare la sua brutta figura di prima.
"Mmm..." si sentì improvvisamente, "spero di non interrompere qualcosa."
La voce era quella di Narin Farmi che stava parlando a voce alta ma senza urlare.
Proseguì: "Sono desolata, Yuri, devo anticipare il tuo turno. Ti aspetto in sala macchine, fai in fretta!"
Si sentirono i suoi passi che si allontanavano. Poi si fermò di colpo e tornò indietro, il che fece venire la pelle d'oca a Yuri che stava completamente nudo sulla branda. Allungò una mano e cercò di tirare coperta e lenzuola per coprirsi. Sarah fece una smorfia mentre sentiva la coperta strisciarle sulla pelle della schiena con eccessiva fretta.
Ma i passi si arrestarono di nuovo: "Se quella lì con te," era sempre Farmi, "è Sarah, dille che voglio subito anche lei."
Detto questo, si sentirono i passi andare via lungo il corridoio.
Yuri mollò la coperta e il lenzuolo che aveva afferrato e si alzò dalla branda guardandosi attorno per cercare qualcosa da mettersi. Afferrò per prime le mutande e poi si infilò un paio di pantaloni che erano per terra nel suo armadietto.
"Sbrigati!" disse a Sarah.
Lei era ancora seduta sul letto; si era avvolta con la coperta e sul suo volto si poteva leggere tutta la delusione per quell'imprevisto risvolto degli eventi.
Notando che lei non si muoveva, Yuri si voltò e le appoggiò le mani sulle spalle. La guardò negli occhi e le sorrise.
"Diamole quello che vuole. Faremo presto. E poi..." le disse sussurrando e accennando un sorriso.
"E poi?" ripeté Sarah infastidita.
"Riprenderemo da dove abbiamo interrotto."
"Davvero?" disse la ragazza con un'espressione di collera.
"Forse dovresti bussare alla cuccetta di Farmi e vedere cos'altro puoi fare per lei!"
Yuri non rispose; continuò a vestirsi e poi uscì salutandola: "A dopo."
Quando entrò nella sala macchine, l'ingegnere capo distribuiva i compiti agli ingegneri di turno. Si respirava un'atmosfera frenetica.
Farmi vide che Kuznetsov era arrivato: "Alla buon'ora, Kuznetsov. Ho bisogno di te per una diagnostica dei motori iperspaziali. Quindi prendi la tua squadra e comincia."
Pronunciate quelle parole, la donna rivolse la sua attenzione ad altri compiti. La sagoma longilinea di Yuri Kuznetsov continuava a rimanerle impressa nella parte periferica del suo campo visivo. Il suo giovane aiutante era ancora lì.
"C'è qualcosa che non va?" gli chiese con un tono che sembrava significare, in realtà: "Ma perché stai lì fisso?"
"No, niente, è solo che..." gli uscì dalla bocca senza che se ne accorgesse. Quella situazione d'urgenza lo disorientava.
"Solo che cosa?" lo incoraggiò Farmi.
"... Niente, niente. Pensavo che i motori iperspaziali fossero funzionanti."
"Davvero?" ribatté Farmi con un'espressione che era un misto tra un sorriso denigratorio e l'irritazione. Kuznetsov rimase in silenzio; continuava a starsene lì, come paralizzato, di fronte a quella donna che aveva il potere di metterlo in soggezione. Soprattutto dopo averlo sorpreso in un momento intimo.
Non capiva per quale motivo non riusciva a essere all'altezza. Si trovava proprio dove aveva sempre desiderato essere. Lavorava con il miglior ingegnere di tutta Nuova Terra. La donna più in gamba che fosse mai esistita. Era l'occasione della sua vita, e lui riusciva solo a passare da una gaffe a un errore dopo l'altro.
Farmi serrò le labbra e le storse in una smorfia di fastidio, quindi si alzò per far pesare tutta la sua altezza come se da quella dipendesse la sua autorità: "La diagnostica ci dirà se i motori iperspaziali sono o meno funzionanti. E ora si muova, ho bisogno che faccia un'ispezione meticolosa e profonda. E non abbia troppa fretta, voglio dati affidabili o qui nessuno tornerà a casa. Ci siamo capiti?"
Yuri fece un cenno affermativo con la testa. Il suo capo, vedendolo ancora lì, spalancò gli occhi e gli fece cenno di muoversi. A questo punto il ragazzo sbatté all'improvviso i suoi occhi azzurri e scattò come facevano i velocisti sulle rampe dei cento metri piani. Afferrò al volo una delle cassette degli attrezzi e uscì dalla sala macchine per radunare la sua squadra ed eseguire gli ordini ricevuti. Farmi lo seguiva con lo sguardo per assicurarsi che il ragazzo si fosse finalmente deciso a darle retta.
"È un po' acerbo," pensava, "ma ha la stoffa per diventare un bravo ingegnere."
1La fascia di Kuiper esiste nel sistema solare originale, tuttavia, quando una formazione simile fu scoperta anche lì le fu dato lo stesso nome.