Anche questa settimana vi propongo un racconto di lunedì. Vi è piaciuto Un viaggio tranquillo? Sono sempre curioso di conoscere la vostra opinione su quello che scrivo.
Oggi mi è venuta voglia di scrivere una nuova avventura per Arnold e Nora. Che ne dite, è una bella idea?
Quello di oggi è un racconto che nasce da un'immagine che ho generato nella mente. A volte è così che mi capita. Si tratta di scene così vivide che ho l'impressione di averle viste davvero. Mi arrivano addosso come ricordi, anche se so bene che non lo sono e che si tratta di qualche idea che ho messo assieme per qualche motivo. Sono come dei sogni, quei pochi che riusciamo a ricordare.
La suggestione per la storia, invece, nasce da più lontano. Ha la sua origine in un film di Christopher Nolan del 2006 che penso molti di voi avranno visto, The Prestige. In quel film, Robert Angier (Hugh Jackman), è in competizione con un altro prestigiatore, Alfred Borden (Christian Bale). Per rendere il suo spettacolo eccezionale e battere il suo rivale, Angier utilizza una macchina futuristica creata da Tesla in persona.
Questa macchina è in grado di creare due cloni di una stessa persona. Due esseri umani completamente identici, sotto ogni aspetto, compresi i ricordi. Angier inventa un trucco nel quale utilizza la macchina per dare l'impressione al pubblico di potersi teletrasportare da un posto all'altro.
Il trucco riscuote un enorme successo perché di fatto è estremamente realistico. Nessuno riesce a capire come possa essere possibile. Rasenta la vera magia e per questo la sala è sempre piena durante i suoi spettacoli.
La realtà, però, è più agghiacciante. Come è stato spiegato prima, la macchina di Tesla non teletrasporta le persone. Crea dei duplicati identici. Così Angier, ogni sera, aziona la macchina per generare due nuovi duplicati di se stesso. Uno finisce sul palco e prosegue lo spettacolo. L'altro finisce in una vasca piena d'acqua, dove annega. Dopo lo spettacolo, il cadavere della copia, viene portato via e sepolto da qualche parte.
Quando Angier rivela l'essenza del suo trucco a Borden, il suo rivale, gli confessa che ogni sera sale sul palco senza sapere se sarà lui o l'altro a sopravvivere. Ogni sera ha il terrore di trovarsi dentro la vasca d'acqua e annegare.
Il film è ambientato nell'Inghilterra del 1899 a cavallo tra due secoli. Per questo non lo definirei proprio un film di fantascienza. La macchina di Tesla è un'invenzione del film, naturalmente, ed è il dettaglio che ci trasporta da una Londra vittoriana in un mondo alternativo e fantascientifico. Il film riprende molto bene l'atmosfera di ottimismo che si doveva sentire in quegli anni. Era ancora il periodo del positivismo. Quel movimento nato dall'entusiasmo per le nuove scoperte scientifiche che stavano man mano aumentando e diventando sempre più frequenti.
La vita delle persone era influenzata da queste invenzioni. Le città si trasformavano. Apparivano i tram elettrici. Il treno collegava sempre più città e le persone potevano viaggiare più rapidamente e in sicurezza di quanto non avessero potuto fare i loro padri.
Ora vi lascio al mio racconto, buona lettura.
L'esperimento
Di Alex Martell
La mano sembrava la stessa di sempre. La osservavo con attenzione, roteando lentamente l'avambraccio. Scrutavo ogni piega, ogni avvallamento, ogni segno specifico. Non c'erano più dubbi: era proprio la mia mano. Lo stesso si poteva dire del resto. Mi sono esaminato scrupolosamente. Le braccia, le gambe e ho guardato pure le spalle, che stavano proprio alla distanza giusta, lì dove sono sempre state.
Intorno a me c'era il solito laboratorio, con i tavoli pieni di componenti varie. Per terra correvano i cavi che partivano dalla cabina dove mi trovavo. Anche la luce e le pareti sembravano quelle di prima. Nel naso avevo il puzzo dell'ozono, con la differenza di potenziale elettrico della strumentazione c'era da aspettarsi qualche scarica. Eccetto questo, il resto sembrava identico a prima, anche se avevo questa strana sensazione, come un dubbio imbrigliato all'interno del mio cervello. Credevo di essere lì per la prima volta.
Riprendo a esaminarmi. Anche i vestiti erano gli stessi che indossavo prima. Ne tastai la struttura e la stoffa mi dava la sensazione di essere quella giusta. Il tessuto era un normale acrilico, di buona qualità. Potevo sbagliarmi, ma non coglievo alcuna differenza. Riguardo ai colori, anche quelli erano come li ricordavo.
Avevo terminato la mia ispezione e all'improvviso ho avuto un dubbio: come facevo a ricordare tutte quelle cose? Se io non ero io avrei potuto ricordare qualcosa di diverso. Sentivo il cuore che mi batteva più forte, in quel momento. Poi ho riflettuto: cogito, ergo sum. Io non posso che essere io, perché fa parte dell'avere una identità, una coscienza.
Tuttavia, il mio problema restava irrisolto. L'unica cosa che potevo dire di sapere era che avevo dei ricordi. Mi ricordavo di essere me stesso e di come ero fatto. La mia ispezione ha dimostrato che anche il mio corpo era come lo ricordavo. I miei sensi confermavano i ricordi che avevo di me.
Eppure quel giorno era successo qualcosa di veramente sbagliato.
La nuova consapevolezza di me non era servita a placare il mio cuore. Ora sentivo pure i rivoli di sudore che mi stavano attraversando la faccia. Le gocce, fredde, scendevano lungo le guance e poi finivano, non so come, assorbite lungo il collo.
Non era possibile che evaporassero così. Infatti, dopo un poco ho cominciato a provare una sensazione di umido alla base del collo. Tastai il colletto della camicia e mi accorsi che era umido. Slacciai qualche bottone per staccarmelo dalla pelle. Fu liberatorio. Mi sembrava di riuscire a respirare di nuovo.
Maledizione, pensai, sono nei guai. Ero certo che non mi sarei mai trovato in quella situazione. La mia idea era giusta. I miei calcoli erano giusti. Li avevo fatti e rifatti una decina di volte. I risultati erano stati confermati anche dai miei assistenti, per la verità ex assistenti. Ero riuscito a convincere anche un paio di colleghi. Un impresa; ho dovuto insistere molto. Alcuni hanno smesso di salutarmi per questo motivo. Non aveva importanza, allora. In quel momento, per la prima volta, cominciavo a dubitare di me stesso, a pensare che avessero ragione loro. Non avrei dovuto insistere, era meglio lasciar perdere tutto. Potevo scegliere un altro campo, dedicarmi alla ricerca teorica o passare a qualche centro di ricerca privato. Uno dove si lavora su progetti interessanti. Avrei ricominciato a guadagnare bene. Il desiderio di dimostrare che avevo ragione vinse su tutto.
Avevo lavorato a questo esperimento da anni. Non potevo rinunciare senza dimostrare che avevo ragione.
La mia intera carriera era basata sulla teoria del trasporto quantistico. Poi erano uscite delle pubblicazioni che evidenziavano problemi insuperabili. Quegli studi furono confermati. Ne pubblicarono altri, più precisi; tutti confermavano che il trasporto quantistico era problematico. Almeno quello che riguardava esseri viventi.
Qualcuno provò a scrivere qualcosa a favore del teletrasporto quantistico. Ognuna di quelle pubblicazioni fu contraddetta. Contenevano errori, oppure dati falsificati. In poche parole: immondizia. Anche io pubblicai la mia teoria. Fu accolta positivamente, riscosse parecchio interesse e per alcuni mesi riaccese le speranze di salvare questo campo di studi.
Purtroppo, la cattiva fama delle altre pubblicazioni scoraggiava i miei colleghi dall'esaminare il mio lavoro.
I finanziamenti privati crollarono, così come quelli statali. Da settore promettente e ricco di finanziamenti, divenne un ramo secco della ricerca scientifica. Tutti i programmi di ricerca chiusero. Rimanevano pochi a crederci, gente testarda e tenace come me. Cercammo di portare avanti le ricerche usando quei pochi fondi pubblici che avevamo a disposizione. La speranza era di fare una scoperta che riaccendesse l'entusiasmo.
Questo ha creato un grande scandalo nel mondo e così i governi sono intervenuti. Furono emanate leggi che vietarono la ricerca nel settore del trasporto quantistico.
Io ho trasgredito quelle leggi. L'ho fatto per un buon motivo; ero convinto, genuinamente convinto, di aver risolto il problema.
Tremavo e stringevo i pugni per farmi coraggio, sollevai di nuovo lo sguardo. Così mi sono rivisto, dall'altro lato della stanza. Dentro la cabina, quella dove ero entrato prima di cominciare l'esperimento. Ero proprio io, stesso viso, stessi capelli e stessi vestiti. Eppure continuavo a chiedermi: quale dei due fossi io.
Interessante...
L'io piú vero sará quello che ha accumulato piú esperienza di se stesso sulla linea temporale o il fatto che condividano le stesse memorie motorie e cronologiche li rende eguali e indistinguibili?
Questo come tecnicismo perché se poi cominciamo a farci domande sull'eventualitá dell'esistenza di un'anima... la duplicazione sarebbe un atto divino!!!
Mi piace cominciare la settimana speculando....