Oggi al posto del solito articolo vi propongo un racconto autoconclusivo che pubblico tutto assieme.
Scriverlo è stato molto divertente, l’idea si è infilata nella mia testa qualche settimana fa. All’inizio avevo solo una scheggia, un frammento di immagine. Poi da lì è emersa una trama che mi ha catturato dal primo momento.
Quindi buon lunedì, buona settimana e naturalmente, buona lettura!
Un viaggio tranquillo
Di Alex Martell
La console di comando della Steady Runner mostrava la rotta interstellare seguita dall'astronave nelle ultime settimane. La piccola plancia era immersa nel silenzio; i colori spenti e scuri dello schermo facevano risaltare i tratti chiari della mappa dove un piccolo triangolo giallo indicava la posizione corrente. Improvvisamente, una finestra ricoprì tutte quelle informazioni con un rosso acceso e intermittente. Nello stesso momento un suono difficile da ignorare si attivò.
Sulla poltrona di fronte alla console, una testa che solo un attimo fa ciondolava, si rianima raddrizzandosi quasi di scatto. Un paio di occhi assonnati si aprono con meno vigore: "Che sta succedendo, Nora?"
"Ho ricevuto una richiesta di soccorso, Arn."
"Davvero?" rispose la voce impastata del pilota Arnold Reisern.
"Sì, ti confermo che il segnale è la richiesta di soccorso di una nave che dista cinque anni luce da noi."
"Va bene, ora spegni l'allarme, Nora."
"Non posso farlo, Arn."
Quella frase destò completamente Arnold che ribatté: "Come sarebbe?"
"Dobbiamo cambiare rotta e prestare soccorso."
"No che non dobbiamo," le rispose l'uomo scuotendo la testa energicamente, "abbiamo una consegna da fare e quei cinque anni luce ci procurerebbero un bel ritardo."
"È la legge, Arn."
"La legge? La legge dice solo che qualcuno li deve soccorrere, non specifica che dobbiamo essere noi, giusto?"
"Sbagliato. Secondo i miei rilevamenti siamo l'unica nave in un raggio di 100 anni luce dal punto in cui proviene il messaggio."
"Diremo che non abbiamo ricevuto il messaggio."
"Ma io ho ricevuto il messaggio, Arn."
"Allora dirò che non me lo hai detto!"
"L'ho appena fatto, Arn."
"Nora, tesoro, non è che una volta ogni tanto mi potresti venire in contro?"
"Sono spiacente, Arn, non questa volta."
"Potrei far partire una tua diagnostica e cancellare questa conversazione. Cancellare le tracce del messaggio e così saremo tutti tranquilli."
"Sai che resterebbero le tracce della manomissione."
Arnold sapeva che l'AI di bordo aveva ragione. Il danno era fatto, non poteva più esimersi dal prestare soccorso. "Accidenti!" disse con un tono seccato.
"Che cosa ti rende così nervoso, Arn?" chiese l'AI con una voce modulata. Registrava lo stato d'animo dell'uomo e cercava di calmarlo.
"Il contrattempo mi farà perdere il bonus."
"Potresti aumentare la velocità, dovremmo essere in grado di recuperare il tempo perduto."
"Ma così perderei la mia quota..."
"Quale quota, Arn?"
"Lo sai, no? La quota del carburante."
"Oh, capisco. Parli di quella truffa che fai alla compagnia: risparmi il carburante per poi rivenderlo in nero."
"Questo resta tra noi, capito?" l'uomo ammiccò verso lo schermo della console di comando. Nora avrebbe potuto notarlo da qualunque angolazione, perché aveva accesso a tutti i sensori interni ed esterni della nave. Ma quel gesto rendeva la conversazione più personale e lei non si opponeva affatto a questo tipo di interazioni. Arnold era da solo per quasi due mesi terrestri, il tempo che impiegava la Steady Runner a percorrere i quasi 243 anni luce che separavano il sistema di Vega da quello di Bellatrix.
Il suono continuava a vibrare nell'abitacolo senza sosta, infondendo un senso di urgenza e d'attenzione. La sua frequenza era particolarmente fastidiosa e stava procurando l'inizio di un'emicrania ad Arnold.
"Potresti spegnere la sirena, per favore?"
"La posso silenziare per cinque minuti. L'allarme resterà attivo finché continuerò a ricevere il messaggio o non cambieremo rotta."
"DANNAZIONE!" l'uomo picchiò con forza il pugno destro sulla base della console. La struttura metallica assorbì il colpo emettendo delle vibrazioni e un rumore sordo. Di sicuro, Arnold lo sentì.
"Hai vinto. Cambiamo rotta e soccorriamo queste persone."
"Non ho vinto, Arn. Obbediamo alla legge."
Il riquadro rosso scomparve e anche il fastidioso suono si zittì. La console mostrava ora un altro segno, un cerchio color rosso con delle linee che lo trafiggevano. Nora aveva calcolato la rotta di intercettazione e programmava il vascello per seguirla.
Arnold osservava le operazioni con una smorfia di disappunto sul viso. Quando la manovra fu completata, afferrò il tablet appoggiato sul tavolino collegato alla poltrona e lo studiò un momento prima di cominciare la sua routine quotidiana di controlli e manutenzione.
Impiegarono poco meno di un giorno per arrivare al punto da dove era partito l'S.O.S. e si trovarono di fronte una scena terrificante. Una nuvola di detriti circondava il corpo principale di quella che una volta era stata una nave spaziale. Arnold valutò che doveva trattarsi di uno di quei modelli da crociera, fatti per il trasporto passeggeri. Non come la Steady Runner che pilotava con orgoglio da qualche anno. Una nave enorme, eppure lo spazio per gli esseri umani era piuttosto limitato. Il 97% della nave era carico. Si trattava di parti meccaniche, elettroniche, elettromeccaniche e così via. Insomma, pezzi di ricambio, roba che si rompeva e andava rimpiazzata. I clienti erano soprattutto le stazioni spaziali.
"Nora, rilevi qualcosa?"
"Sto facendo uno scan con tutti i sensori. Mi sono concentrata sul corpo centrale del vascello."
"Trovato nulla?"
"Per il momento no. I resti sembrano privi di forme di vita."
"Ok, siamo arrivati tardi. Un vero peccato..."
"Aspetta un momento, Arn."
"Che c'è?"
"Ho individuato una capsula a qualche centinaio di migliaia di chilometri."
Oh no! pensò.
"E?"
"Rilevo una forma di vita, Arn."
Questa volta Arnold non trattenne uno sboffo. Si prese un momento e poi decise: "Andiamo a recuperarla."
La manovra di recupero fu alquanto complicata. La Steady Runner era un vascello gigantesco costituito interamente dal suo carico. I motori erano studiati per spingerlo velocemente soltanto in avanti oppure per frenarlo. Per manovrare, invece, aveva dei razzi più piccoli e meno potenti perché erano fatti per muovere la nave in uno spazioporto. Insomma, non era il veicolo più adatto a recuperare una piccola capsula di salvataggio.
Una volta posizionata la nave correttamente e sufficientemente vicina, Arnold poté utilizzare il braccio meccanico esterno per afferrare il modulo e portarlo a bordo. Si recò subito nel piccolo magazzino dove era stato caricato l'oggetto; reimmessa l'aria al suo interno, esaminò la capsula per capire come aprirla. Trovò facilmente la leva ed eseguì subito la manovra per sbloccare il portello e poi aprirlo. Appena si aprì un varco si sentirono dei rumori. All'interno c'era senz'altro qualcuno che sembrava spingere per uscire. Fatica inutile, pensò Arnold. Lo sportello era troppo pesante per poter essere mosso da un essere umano. Non c'era altro da fare se non attendere che i servomeccanismi idraulici completassero il loro ciclo e sollevassero tutti quei chili.
"Oh, finalmente! GRAZIE! GRAZIE TANTE!"
Si sentiva urlare da dentro la capsula. "Non c'è di che. Ora stia tranquillo. Attenda che i pistoni aprano completamente la capsula, e poi potrà uscire." Arnold cercò di parlare con calma e impostando la voce in modo da sembrare professionale. Anche se non aveva ben chiaro a quale tipo di professione si stesse riferendo. Lui era un pilota, un trasportatore, non certo un esperto di salvataggi spaziali.
Terminato il movimento dello sportello l'uomo non attese un solo istante in più e sgusciò fuori saltando quasi in braccio ad Arnold, che si dovette scansare per evitare di finire travolto.
"GRAZIE!" continuava l'uomo. "GRAZIE TANTE!"
"Va bene," lo rincuorò Arnold, "va bene, ora è salvo. Si calmi."
"Ha ragione, sa." l'uomo stava affannando e si passò l'avambraccio sulla fronte per tergersi il sudore. "È solo che avevo perso ogni speranza, mi capisce?"
"Immagino sia stata dura, rinchiuso là dentro." commentò Arnold indicando la capsula.
"Non immagina quanto." disse l'uomo quasi piangendo.
"Posso chiederle che cosa è successo?"
"Ah, ecco, vede... a essere sinceri non lo so nemmeno io." disse l'uomo ancora in affanno, forse a causa dell'eccitazione o dello stress per aver passato tutto quel tempo in uno spazio stretto circondato dal vuoto siderale.
"Si calmi." lo rincuorò Arnold, che lo prese e lo fece sedere su uno dei sedili estraibili incastonati su una delle paratie del magazzino.
"Mi chiamo Arnold Reisern, e sono il pilota di questa nave mercantile. Lei come si chiama?"
"Dixon, piacere." l'uomo allungò una mano che Arnold strinse energicamente come era solito fare.
"Dixon?"
"Mi scusi, Golstar. Mi chiamo Dixon Golstar."
"Senta, signor Golstar, ricorda che cosa è successo alla sua nave? C'erano altri passeggeri a bordo?"
Arnold notò che l'uomo non aveva più l'affanno e sembrava aver smesso di sudare. Si guardava attorno in maniera circospetta. Alla fine squadrò Arnold da cima a fondo: "Purtroppo non mi ricordo molto dell'incidente. Tutto sembrava andare per il meglio, poi all'improvviso un'esplosione e mi sono ritrovato nella capsula di salvataggio."
"Capisco... c'erano altre persone con lei a bordo?"
"Come? Ah, no, no, viaggiavo da solo."
Arnold fece un cenno d'assenso con la testa mentre fissava l'uomo per capire se fosse in grado di camminare.
"Le va di mangiare qualcosa?"
"Oh, sì, davvero, muoio di fame!"
Lo aiutò ad alzarsi e poi a camminare. Si spostarono in cambusa dove lo fece accomodare su una delle sedie. Andò alla credenza dalla quale estrasse due porzioni di cibo liofilizzato. Le infilò nell'apparato che avrebbe idratato e poi cotto le pietanze.
Si trattava di una semplice bistecca di manzo con carote e patate: il piatto della festa. Arnold conservava quelle razioni per i giorni speciali. Quelli in cui gli andava di festeggiare qualcosa. Non che avesse molto da festeggiare durante il lungo viaggio da Vega a Bellatrix, ma inventarsi quelle ricorrenze lo aiutava a spezzare la monotonia. Pensò che per l'occasione, valesse la pena sacrificare una di quelle porzioni.
"Ecco qui," allungò il piatto al suo nuovo ospite che lo osservò con sorriso che ad Arnold sembrò genuino. Mangiarono senza troppi complimenti e senza altre chiacchiere. In quel momento Arnold fu felice di aver assecondato Nora e di aver salvato quell'uomo. Pensò che avesse passato dei brutti momenti. Ma ora era salvo e appena arrivati a Bellatrix sarebbe tornato alla sua vita e forse si sarebbe dimenticato di quell'incidente.
O forse no, certe cose non te le scordi, pensò.
Al termine del pasto, l'ospite si rilassò distendendo la schiena sulla sedia e alzando le braccia per poi stirarle. Quando fu soddisfatto chiese: "Allora, amico, dov'è diretta questa bagnarola?"
Ad Arnold non piacque il modo in cui aveva definito la sua Steady Runner. Non era la più lussuosa delle astronavi, ma faceva il suo dovere. Di certo, aveva il pregio di essere tutta intera, al contrario della nave più elegante sulla quale stava viaggiando Dixon, che ora era una nuvola di rottami alle loro spalle.
"Puoi chiamarmi Arnold o Arn, se preferisci," gli rispose, "la Steady Runner è diretta a Bellatrix, ci arriveremo in cinque o sei settimane."
"Bellatrix? Ci sono stato una volta, un postaccio. Che ci vai a fare da quelle parti, amico?"
Arnold storse la bocca e poi rispose, con tutta la gentilezza di cui era capace: "Devo consegnare la merce che trasporto. Questo è un mercantile della Void Runner Express."
L'uomo si guardò attorno, sembrava aver ignorato la risposta di Arnold. Dopo qualche istante avvicinò il busto al tavolo e fece cenno ad Arnold di fare lo stesso: "Che ne dici di una piccola deviazione?"
"Negativo."
"Solo qualche anno luce, amico."
"Mi spiace, non posso. Per soccorrerti ci ho rimesso il bonus. Questa consegna è già in ritardo. Se facessi un altra deviazione finirei pure il carburante. E se il cliente si lamentasse del troppo ritardo, perderei il mio posto."
"Come sei formale, amico," Dixon scosse la testa per dimostrare il suo disappunto. Arnold stava perdendo la pazienza: "Ehi, non sono tuo 'amico', capito? Sono un tizio che ha deviato la sua rotta per venirti a salvare, te lo ricordi questo? Andremo a Bellatrix, da lì potrai andare dove ti pare."
"Ok, va bene, non ti agitare. Facevo solo una domanda." gli disse l'uomo alzando le spalle.
"E chiamami Arnold!"
L'aria si era fatta tesa e Dixon chiese di poter riposare un po' per riprendersi da quell'esperienza sconvolgente che aveva vissuto. Arnold gli fece subito strada verso la cuccetta di riserva e dopo avergli portato le forniture standard: lenzuola, coperte, cuscino e asciugamani, gli mostrò anche dove poteva farsi una doccia. Gli raccomandò l'uso morigerato dell'acqua. La compagnia ne caricava poca e i sistemi di riciclaggio erano poco efficienti. Quindi lo lasciò e tornò in plancia per riprendere la sua routine. C'erano vari compiti che lo aspettavano, per via di quell'imprevisto aveva trascurato il suo lavoro.
Al termine del suo turno, Arnold fece capolino in plancia per rivedere la situazione. Se tutto fosse stato a posto, avrebbe potuto farsi una doccia e poi una bella dormita fino al giorno dopo. Salutò Nora, terminato il controllo, e si diresse alla sua cuccetta, si spogliò e prese un asciugamano e si recò alla sala della doccia. Regolò la temperatura secondo i suoi gusti e poi aprì l'acqua, ma non successe nulla. Controllò le manopole; erano a posto. Rimase un momento a pensare, quindi si spostò sulla console appena fuori dal locale docce e verificò i livelli dell'acqua. Esaurita.
Tutta l'acqua della nave era in riciclo, non c'era più una sola goccia d'acqua utilizzabile. Arnold si legò l'asciugamano alla vita e piombò sulla cuccetta di riserva picchiando forte sulla porta: "Dixon! Dixon!"
Tre colpi poi attese. Nessuna risposta. Altri tre colpi. Niente. Allora picchiò ancora più forte e si mise a urlare: "DIXON! SVEGLIATI!"
Sentì un rumore dentro la cuccetta e attese che la porta si aprisse. Gli si parò davanti il volto largo e incuneato al mento di Dixon che faticava a tenere gli occhi aperti.
"Che succede, amico?"
"Quanto sei stato nella doccia?" gli chiese cercando di mantenersi calmo.
"Bo, saranno stati dieci, massimo quindici minuti. Che succede?"
"Te lo dico io che succede! Hai finito l'acqua!"
"Ma no, ho fatto come mi hai detto, io..."
"Che? Ti avevo detto: NON PIÙ DI CINQUE MINUTI!"
"Va bene, ora calmati, amico. Non sarà mica una tragedia, l'acqua si ricicla, giusto?"
Un ghigno di rabbia si disegnò sul volto di Arnold: "NORA!"
"Che cosa posso fare per te, Arn?"
"Quanto è stato sotto la doccia il nostro ospite?"
"37 minuti e 42 secondi."
Arnold sorrise in direzione di Dixon, ma senza allegria.
"Dicevi dieci minuti. Quindici al massimo. Davvero?"
"Non è colpa mia se questa nave è poco fornita."
"Questa nave è pensata per un solo passeggero umano. È un trasporto merci, non una nave passeggeri. Le risorse sono limitate e il viaggio durerà ancora molto."
"Ma se ci sono problemi potremmo deviare verso una meta più vicina..."
Quelle parole fecero esplodere qualcosa dentro Arnold: "NON FAREMO ALCUNA DEVIAZIONE! È CHIARO?"
"Chiaro, chiaro, amico. Non serve arrabbiarsi così. Comunque, l'acqua sarà riciclata, no?"
"Certo, ma forse non sai che ora non abbiamo acqua nemmeno per una tazza di caffè, tantomento per il cibo per le prossime 12 ore!"
"Ops, mi dispiace, amico. Non lo sapevo. La prossima volta starò più attento. Lo prometto."
Arnold si rese conto che non c'era nulla che potesse fare. Era andata così. Non avrebbe avuto la sua doccia, ma poteva sempre dormire. Salutò Dixon e si diresse alla sua cuccetta per sdraiarsi e dimenticare tutto quello che era successo.
A circa metà del suo ciclo di riposo ci fu qualcosa che lo svegliò. Ogni tanto gli capita di spezzare il sonno. Quella volta doveva aver avuto qualche incubo. Stava per voltarsi e provare ad addormentarsi quando sentì un rumore. Si mise seduto ad ascoltare. I rumori provenivano da fuori la cuccetta. Afferrò i vestiti che mise subito addosso senza nemmeno guardarli. Aprì con attenzione la porta della cuccetta e uscì con circospezione. Vide la porta della stanza di Dixon che era aperta. A quel punto si precipitò in direzione dei rumori fino ad arrivare in cambusa.
"Che cosa stai facendo?"
"Ciao, amico, avevo fame, così sono venuto a prendere qualcosa. Lo sapevi che ci sono razioni che si possono consumare senz'acqua?"
Quel sorriso da ebete che si trovava di fronte lo irritava in una maniera che non aveva mai sperimentato prima. Non riusciva a credere che una persona potesse essere meno attenta di così. Dodici ore senza la possibilità di bere, sarebbero state pesanti. Se le razioni di cibo fossero finite prima del tempo, avrebbero sofferto la fame per il resto del viaggio.
Quell'individuo stava mettendo a rischio la sua stessa sopravvivenza. Aveva messo in conto il fatto che dividere l'astronave con un altra persona avrebbe richiesto qualche sacrificio. Nulla di impossibile, pensava, bastava solo fare un po' d'attenzione alle risorse. Si era premurato di spiegarlo anche a Dixon, che gli aveva assicurato di aver capito bene. Che non ci sarebbero stati problemi. Poi ha consumato tutta l'acqua disponibile e ora lo ritrova in cambusa a ingozzarsi di cibo.
"Quelle razioni devono durare per tutto il viaggio. Non abbiamo grandi scorte."
"Sono sicuro che un paio di razioni in più non saranno un problema, amico."
"Sono contate, se non stiamo attenti finiremo il cibo e poi faremo la fame. Hai capito?"
"Come sei melodrammatico. Te l'ho già detto, in caso di emergenza basta fare una tappa intermedia."
"Non faremo alcuna tappa. Se finirai il cibo, staremo senza mangiare. È abbastanza chiaro?"
"Agli ordini, capitano!" Dixon fece il cenno di un saluto militare, che gli riuscì goffo.
Arnold si morse la lingua. Non voleva inasprire ancora di più la situazione. Quindi rimase zitto e fissò l'uomo che lentamente uscì dalla cambusa e tornò alla cuccetta. Aspettò che la porta si chiudesse, poi andò nel magazzino, prese gli attrezzi e un po' di materiale. Tornò in cambusa e assicurò tutti i mobili in modo che non si potessero più aprire. Per fortuna aveva una certa scorta di lucchetti che gli furono preziosi per quell'operazione.
Prova a rubare una razione adesso, amico. Pensò. Dopo di che tornò a dormire, anche se ormai mancavano solo tre ore all'inizio del suo turno.
La mattina arrivò prima di quanto si aspettasse. Si diresse direttamente in plancia pensando con malinconia al suo solito caffè. Lo avrebbe potuto prendere solo nel pomeriggio. E quel giorno avrebbe saltato pure la colazione. Si pentì di aver offerto la bistecca di manzo con carote e patate. Avrebbe meritato solo un minestrone, pensò.
Quando entrò in plancia si trovò Dixon che armeggiava con i comandi.
"CHE STAI FACENDO?"
L'uomo sobbalzò per la sorpresa, poi si ricompose prima di rispondere: "Io? Niente."
"Nora?"
"Stava impostando una nuova rotta, Arn."
Dixon scuoteva la testa per negare.
"Per dove?"
"Ancora non saprei, Arn."
"Perché no lo hai fermato, Nora?"
"Non potevo, stava utilizzando i controlli manuali."
"Che diavolo mi combini, Dixon?"
L'uomo alzò le spalle: "Volevo solo dare una mano, rendermi utile."
"Armeggiando con i comandi della nave?"
"D'accordo, lo ammetto: volevo modificare la rotta."
"Quante volte devo ripeterti che non faremo alcuna deviazione. E adesso spostati da lì."
Arnold gli fece cenno con la mano di allontanarsi. Dixon si spostò verso l'ingresso della plancia, mentre lui si muoveva all'interno, fino a quando i due non si scambiarono di posto.
"Ehi, amico," disse Dixon all'improvviso, "il fatto è che io sono parecchio di fretta."
"Ma va? A chi lo dici. Io devo recuperare dieci anni luce per colpa di uno stronzo."
La faccia di Arnold era seria e fissava Dixon senza perderlo d'occhio.
"Non scaldarti, ascoltami prima. Senti, che ne dici se scendiamo dove hai messo la capsula?"
Arnold non fece in tempo a rispondere che l'uomo si voltò e cominciò a muoversi. Non desiderava seguirlo, aveva del lavoro da fare e non voleva abbandonare di nuovo la plancia. Come prima cosa controllò che cosa avesse fatto. Doveva assicurarsi che la Steady Runner fosse ancora diretta a tutto gas verso Bellatrix.
Lasciarlo libero di girare per la nave è comunque un rischio. Forse è meglio se sento che cosa ha in mente, pensò. Così si decise a seguirlo e lo trovò nel magazzino. Lo vide che era la sotto in piedi e lo aspettava. Prima di entrare si guardò bene attorno. Voleva evitare altre sorprese.
"Ah, eccoti qui, amico. Pensavo non saresti più arrivato." lo accolse sorridendo amabilmente. Come farebbe un esperto venditore porta a porta. Uno di quelli che se ti sbagli e gli apri la porta, poi non riesci più a mandare via.
"Su, che hai da dirmi, Dixon?"
"Sentimi bene, ho una certa fretta di arrivare nel sistema di Adhara. Una volta arrivato lì, posso darti una bella ricompensa. Sono un tipo facoltoso, anche se non si direbbe ora, viste le circostanze..."
"Adhara? Sei impazzito? Non riuscirei più a tornare in tempo!"
"Calmati, che problema c'è?"
Arnold si era fermato su una piattaforma che sovrastava il magazzino, mentre il suo interlocutore era al livello più basso e camminava avanti e indietro, mentre gli parlava.
"Che problema c'è?" gli fece eco Arnold. "Hai presente il mio carico?"
"Va bene, se la ricompensa non è abbastanza allora, su Adhara ho delle conoscenze." Dixon ammiccò. Anrond serrò le braccia sul petto e rimase in silenzio.
"Ad esempio, conosco dei grossisti che comprerebbero volentieri il tuo carico. Potremmo dividerci il guadagno, che ne pensi?"
"Sarebbe furto." ribatté Arnold.
"Furto? Amico, questa compagnia ti sfrutta! Giri nello spazio come una trottola per una miseria di crediti."
"È un lavoro onesto."
"Onesto e pericoloso."
"Non capisco dove tu voglia arrivare."
"Allora, per il carico puoi sempre dire che te lo hanno rubato. Basta dichiarare che ti hanno attaccato dei pirati spaziali e tu non hai potuto fare nulla. Succede ogni giorno!"
"Stronzate!"
"Svegliati! La tua compagnia è assicurata, non ci rimetterà un centesimo. Probabilmente sarebbero più felici se le cose andassero così. Credimi!"
Dixon si era fermato davanti allo sportello del magazzino, quello che dava sullo spazio vuoto. Stanco di camminare su e giù si era appoggiato con il braccio destro per reggere il suo peso. Arnold notò la posizione dell'uomo e poi l'occhio gli scappò sulla console che aveva davanti. Sopra c'era il pulsante per l'apertura d'emergenza dello sportello. Se lo avesse premuto, Dixon sarebbe stato proiettato nello spazio siderale e lui avrebbe chiuso con tutti quei problemi che erano saliti a bordo assieme a quell'individuo.
Poi pensò che se lo avesse fatto, la sua sorte sarebbe stata la stessa. Non c'era una paratia di protezione che lo schermasse dal risucchio esterno di un portello che si apre. In un istante avrebbero entrambi vagato in quell'immenso vuoto tempestato di lucette. A quel punto si accorse che la sua mano era stretta su una maniglia sopra la console di comando. La situazione ora era diversa. Reggendosi forte e premendo il pulsante, solo Dixon sarebbe finito fuori a galleggiare nel vuoto. Chissà se sarebbe riuscito a riempire pure quello con le sue chiacchiere.
"E poi, io avrei proprio bisogno di un socio. Tu mi sembri uno in gamba. Sei la persona che stavo cercando. Ho tanti affari per le mani, potremo diventare ricchi prima che tu te ne renda conto."
"Ricchi?"
"Certo!"
"Potrai lasciare questo lavoro e ritirarti in un residence sulla Terra. Ci pensi?"
"Che diavolo dici?"
"Amico, io ti sto parlando di soldi veri: milioni di crediti!"
Arnold storse il labbro e scosse la testa.
"Tanti, tanti soldi da poterti ritirare sulla Terra!" Dixon se ne stava sempre lì appoggiato allo sportello. Non ricevendo risposta, continuò nel suo tentativo di convincere Arnold: "Niente più aria stantia e puzzolente delle stazioni spaziali. Basta con il grigio spento delle cupole. Parlo di luce del Sole, di aria vera, profumata, fresca!"
Arnold fissò la mano sinistra che si avvicinava a quel pulsante. Si accorse che tremava. La destra aveva intensificato la stretta sulla maniglia. Se lo faccio devo farlo subito, pensò. A quel punto Dixon tolse la mano con cui era appoggiato allo sportello e si piazzò lì con la schiena, per stare più comodo.
La mano di Arnold era sopra la sicura che proteggeva il pulsante. Si accorse che lo stava disarmando in automatico, senza che se ne rendesse conto. In quel momento realizzò che stava per uccidere una persona. Fermò il movimento e disse: "Sai che c'è, Dixon? Andremo a Bellatrix e quando sarai lì, non avrai problemi a trovare un trasporto per Adhara o dovunque tu voglia andare."
"Pensaci almeno un po', per favore. Amico?"
"Come ti ho già detto, non sono tuo 'amico', mi chiamo Arnold. Ricordatelo."
Detto quello staccò la mano dalla maniglia, riarmò il pulsante e si diresse di nuovo in plancia, lasciando da solo l'uomo.
"Nora, mostrami le modifiche che stava introducendo il nostro 'amico'."
La console mostrò le informazioni richieste, al che Arnold esclamò: "Accidenti!"
"C'è qualche problema, Arn?"
"Sì, direi di sì. L'ho fermato appena in tempo."
"Che vuoi dire?"
"Quell'imbecille ci stava per fare a pezzi. Non so dove abbia imparato le nozioni di volo spaziale, ma i dati che vedo qui sopra sono sbagliati!"
"Mi sembra improbabile che Dixon Golstar volesse sabotare un mezzo con lui a bordo."
"Eppure ti dico che se avesse impostato questa manovra, la povera Steady Runner si sarebbe piegata in due."
"Hai ragione, Arn. Ho controllato ora i dati. Non sarei stata comunque in grado di fermarlo."
"Già, altro che rivendere il carico. Lo avremmo sparso per tutto questo settore e forse ci avremmo pure lasciato la pelle."
"Sembra coerente con quanto è successo alla nave dove lo abbiamo trovato, Arn."
Arnold si massaggiò il mento con l'indice e il pollice per un momento.
"Pensi di accettare la sua offerta, Arn?"
"Ma che ti salta in mente, Nora?"
"Il valore del carico è notevole. Secondo i miei calcoli qualche milione di crediti."
"E con questo?"
"Si tratta di una cifra interessante, per uno come te che cerca sempre qualche sistema per arrotondare, Arn."
"Sarebbe furto."
"Anche ora rubi il carburante, Arn."
"Cosa? Ma che dici? È una cosa completamente diversa. La compagnia sa bene che i piloti si fregano un po' di cose. Lo accetta, purché il lavoro sia portato a termine. Purché non comprometta il nome della compagnia. Capisci?"
"A dire il vero no, Arn."
"Fa niente, ora voglio cancellare questi dati e mettere un livello di sicurezza aggiuntivo."
"D'accordo, Arn."
Verso la fine del turno Arnold si recò in cucina per avere la sua tanto agognata tazza di caffè. Finalmente il sistema di rigenerazione dell'acqua aveva completato il suo lavoro e c'era di nuovo acqua a disposizione. Era stata una lunga giornata in cui aveva dovuto occuparsi di numerosi contrattempi. Aveva dormito male e poco a causa dei lavori per sigillare gli sportelli della cambusa e impedire a quel famelico grassone di Dixon di mangiare tutto il loro cibo. Poi aveva dovuto ripulire i comandi di rotta dalle impostazioni sbagliate che ancora Dixon aveva introdotto. Erano due giorni che non faceva una doccia e sentiva l'odore della fatica addosso. Ma prima il caffè.
In quel momento entrò Dixon: "Ciao, amico, hai pensato alla mia offerta?"
Arnold lo fissò con un espressione perplessa e poi disse: "La mia risposta non è cambiata."
"Capisco, rinunci a una vera fortuna, comunque."
"Me ne farò una ragione."
Arnold prese la sua solita tazza e la infilò nella macchina del caffè e poi scelse dal pannello le impostazioni corrispondenti alla sua versione preferita. Un caffè americano nero, con cacao e cannella, rigorosamente senza zucchero. Dopo una breve attesa estrasse la tazza fumante e la portò alla bocca e prima di averne un sorso ne gustò il profumo.
"A proposito, quand'è che si cena?" L'interruzione del suo momento con la tanto agognata tazza di caffè lo irritò. La giornata era rovinata definitivamente. Arnold guardò fisso negli occhi Dixon e disse: "La cena è fra un'ora, come al solito."
"Amico, ho fame."
"Puoi resistere un'ora."
"Ma che senso ha? Chi ci controlla? Qui c'è il cibo, mangiamo, no?"
"Devo finire delle cose, prima."
"Va bene, ma io posso mangiare anche ora. Dammi la combinazione dei lucchetti, su."
A quella richiesta Arnold fissò Dixon piegando leggermente la testa e dopo una pausa ponderata, rispose: "Secondo te, per quale motivo ho istallato i lucchetti?"
"Ma io che ne so, amico. Dimmelo tu? Io voglio solo mangiare un boccone. Che diamine!"
"Aspetterai." disse uscendo dalla cambusa sorseggiando la tazza di caffè. Finita la quale si infilò nella doccia, prima che il suo compare potesse rubargli di nuovo l'acqua. Non ne sarebbe più stato in grado. Fra i lavoretti extra che aveva fatto durante il turno, c'era l'installazione di un timer per l'utilizzo dell'acqua. D'ora in poi le docce sarebbero state di cinque minuti. Poi l'acqua sarebbe rimasta chiusa.
Dopo un'ora, Arnold si presentò in cambusa. Puntuale. Vide Dixon che cercava di sfondare uno degli armadietti: "Che combini? Accidenti a te!"
"Non mi hai dato da mangiare, che modi!" rispose stizzito Dixon.
"Ti avevo detto che avremmo mangiato all'ora convenuta. Ovvero, proprio adesso."
"Va bene, amico. Allora dammi la mia porzione."
Arnold si avvicinò alla credenza e scansò Dixon con uno spintone energico. Fatto spazio inserì la combinazione nel lucchetto, facendo attenzione che l'altro non la vedesse. Aprì lo sportello e ne estrasse due razioni. Chiuse di nuovo lo sportello e lo bloccò con il lucchetto. Quindi infilò le porzioni nella macchina che le avrebbe restituite pronte al consumo.
Quando si rese conto che i suoi tentativi di identificare il codice non avevano avuto successo, Dixon prese posto a tavola e si mise ad aspettare il piatto. Appena fu pronto Arnold prese le due porzioni e le posò sul tavolo. Mangiarono in silenzio. Dixon finì molto in fretta, Arnold non era ancora arrivato a metà della sua porzione. Quando notò che l'altro stava raschiando il piatto per tirarci via ogni molecola di sostanza, tirò il suo piatto vicino a sé e attorno ci mise le braccia come a proteggerlo. Fu un gesto automatico che lo stupì quando se ne accorse.
Terminato di mangiare, attese che Dixon si ritirasse nella sua cuccetta. A quel punto andò nel magazzino a ultimare qualche altro piccolo lavoretto. L'inaspettato passeggero lo stava rendendo paranoico. I suoi sensi erano costantemente in allarme e questo gli provocava uno stato di perenne stanchezza. Avrebbe voluto dormire, ma era spaventato da quello che quell'uomo avrebbe potuto combinare mentre non era vigile per fermarlo.
Poteva contare su Nora, ma un AI aveva dei limiti. Non poteva agire sui comandi manuali come un essere umano. Se Dixon le avesse ordinato di stare zitta e di non chiamarlo, avrebbe dovuto obbedire, suo malgrado.
"Ehi, amico."
Sentite quelle parole alzò lo sguardo e vide Dixon che stava sulla piattaforma del magazzino, proprio di fronte al pannello di controllo. Ora erano quasi nella medesima posizione in cui si trovavano quella mattina, ma adesso erano a parti invertite. Quella situazione lo rendeva nervoso. L'improvvisa comparsa dell'uomo era qualcosa di inatteso e che non lo lasciava per nulla tranquillo.
"Mi chiedevo," continuò Dixon, "se avessi ripensato all'offerta che ti ho fatto."
Arnold lasciò stare quello che stava facendo e si alzò in piedi per fissare meglio Dixon: "Ti ho già detto che non ho intenzione di cambiare rotta."
"Non capisco proprio come ragioni, amico."
"Ragiono con la mia testa, come ho sempre fatto."
"Senti, per me è davvero importante arrivare ad Adhara il prima possibile."
"Perché proprio Adhara?"
"Che significa questa domanda? Perché sì."
"Conosco un po' il sistema di Adhara e lì non c'è molto per un tipo come te."
Dixon si appoggiava sulla console. Arnold lo osservava con attenzione cercando di capire se volesse operare su qualche comando. I movimenti dell'uomo parevano caotici e non pianificati. Usava il ripiano solo come base d'appoggio, mentre gli stava parlando.
"Che cosa vorresti insinuare, amico?"
"Niente, solo che conosco Adhara."
"E allora?"
"È un sistema poco sicuro, ci sono delle basi di pirati spaziali nascoste da qualche parte. Per non parlare di quelle due stazioni malfamate. Non sembra un posto per uno pieno di soldi come te."
"Lo so che Adhara non è il posto migliore al mondo, è solo che ho degli affari da concludere."
"Possono aspettare."
"Non i miei, amico."
"Aspetteranno lo stesso."
Arnold pensò di avvicinarsi un po' alla scala della piattaforma. Doveva farlo lentamente e tenendo d'occhio il suo interlocutore. Dalla sua posizione, Dixon poteva controllarlo.
"Amico, vienimi in contro, no?"
"Mi spiace, non posso."
"Questo rottame avrà una navetta di salvataggio, un modulo secondario, qualcosa che possa navigare nello spazio. Perché non me lo vendi?"
"Mi spiace, ma non c'è nessuna navicella." mentiva.
"Oh ma davvero? Mi prendi in giro? So che c'è. Questa mattina, mentre armeggiavo con la console, ho dato un'occhiata alla fornitura della nave e ho notato la presenza di una navetta."
"Anche se fosse con cosa la pagheresti?" fece un piccolo passo in avanti, continuando a fissare le mani di Dixon.
"La pagherei quello che ti pare. Anzi, una volta che arrivi a Bellatrix, potresti ripartire per Adhara. Ci troveresti la tua navetta con il pieno e un bel gruzzolo di crediti per il tuo disturbo."
"Sembra una proposta interessante, vai avanti." un'altro piccolo passo.
"Eccoci qua! L'avevo detto io. L'avevo detto io, amico. Lo sapevo che in fondo eri una persona ragionevole."
"Aspetta, voglio prima conoscere i dettagli," ancora un piccolo passo. Era a metà strada.
"Di quali dettagli stai parlando?"
"Parlo di quello che andrai a fare nel sistema di Adhara."
"Quelli non sono affari tuoi, amico."
"Se usi la mia navetta lo sono, amico," era sempre più vicino alla scaletta.
Dixon sembrava riflettere e si era staccato dalla console. Ora camminava avanti e indietro. Arnold pensò che poteva fare uno scatto e salire per la scaletta. Poi si rese conto che l'altro lo avrebbe potuto tramortire senza difficoltà.
"Aspetta un momento," disse Dixon rimettendosi alla console, "che cos'è questo pulsante? Ho notato che questa mattina lo stavi fissando."
"Nulla, lascia perdere..." disse Arnold mordendosi la lingua per non intimargli di non premerlo. A uno come quello lì, dirgli una cosa simile lo avrebbe spinto a premerlo subito.
"Non mi sbaglio, questa mattina ho visto che ci stavi posando la mano sopra."
Vide gli occhi di Dixon che lo fissavano e diventavano sottili. Inclinò la testa leggermente e quella sua faccia larga cominciò a cambiare colore. Divenne sempre più rossa fino a quando arrivò a un punto che sembrava stesse per prendere fuoco: "Bastardo, volevi lanciarmi fuori!"
Dette quelle parole Arnold lo vide disarmare il pulsante e poi premerlo. Lui si lanciò verso la scaletta e tentò di risalire. Dixon premette il pulsante diverse volte, ma non succedeva nulla. Poi notò che Arnold stava salendo per la scaletta e a quel punto gli andò incontro e sferrando un calcio lo spinse di sotto. Arnold atterrò sul braccio sinistro. Sentì un crack e poi una fitta forte di dolore. Si accorse che non riusciva più a muoverlo e gli faceva molto male.
Dixon scendeva la scaletta e quando fu arrivato in fondo si lanciò contro Arnold che stava tentando di rialzarsi. Un pugno colpì il braccio ferito e sentì un forte dolore che quasi lo fece rotolare a terra di nuovo. Strinse i denti e cercò di resistere.
"BASTARDO, VOLEVI AMMAZZARMI!" urlava Dixon impazzito.
Arnold indietreggiava come poteva per allontanarsi dai colpi finché non arrivò alla parete opposta a quella in cui si trovava prima. Aggrappandosi con il braccio destro tentò di sollevarsi, ma Dixon gli sferrò un pugno nel fegato che lo fece piegare in due. Cadendo gli rimase in mano una sbarra alla quale si era appoggiato per sollevarsi. Era una di quelle sbarre di metallo che si usavano per estendere il manico delle chiavi quando si dovevano stringere i bulloni della paratia. Quando fu a terra si accorse di quello che aveva in mano. Dixon riuscì a sferrargli un calcio sulla schiena, ma a quel punto Arnold roteò la sbarra e colpì il suo avversario al ginocchio, nella parte interna. Il rigido metallo piegò l'articolazione dell'uomo che rovinò all'indietro. Arnold ebbe qualche istante per riprendere fiato e tentare di alzarsi. Anche Dixon cercava di tornare in piedi. Era una gara a chi si fosse alzato per primo.
Nonostante il dolore al braccio, vinse di poco Arnold che roteò nuovamente la sbarra sferrando un fendete sulla testa di Dixon. L'uomo tornò a terra e non si mosse più. Si vedeva del sangue uscire da una ferita nascosta dai lunghi capelli biondi dell'uomo.
"Accidenti! Che cosa ho fatto!" disse Arnold lasciando cadere la sbarra a terra.
Si guardò attorno e cercò di recuperare qualcosa per sistemarsi il braccio, almeno temporaneamente. Trovò dei supporti plastici abbastanza rigidi. Li mise lungo il braccio ferito e poi con dei lacci li strinse attorno. Ora poteva muoversi senza correre il rischio che il braccio gli facesse troppo male. Tornò da Dixon che stava ancora sdraiato per terra dove era caduto. Salì sulla scaletta e fece scendere l'elevatore. Scese di nuovo e trascinò il corpo esanime di Dixon sull'elevatore. Risalì le scalette e sollevò l'elevatore fino in cima. Salì la seconda parte delle scalette e da lì afferrò nuovamente il corpo immobile e lo trascinò fino al lettino medico.
"Nora!"
"Sì Arn, che succede?"
"Prendi Dixon e mettilo sul lettino, voglio che lo curi subito!"
"D'accordo, Arn."
Un paio di braccia meccaniche si mossero per sollevare il corpo e adagiarlo sul letto dove gli strumenti consentivano a Nora di effettuare un'analisi delle condizioni dell'uomo.
"Pare che Dixon abbia un grave trauma cranico."
"Puoi fare qualcosa? Sopravviverà?" chiese Arnold quasi piangendo.
"Non saprei, la situazione appare piuttosto grave. Farò del mio meglio."
Sul lettino cominciarono a muoversi delle braccia più sottili che provvedevano alla somministrazione di farmaci e all'identificazione e la medicazione delle ferite. Mentre Nora era impegnata nelle procedure mediche per salvare Dixon, Arnold assisteva camminando nervosamente avanti e indietro e piangendo.
Dopo una mezz'ora di movimenti concitati attorno al corpo del ferito, tutto si arrestò.
"Arn, ho fatto quello che potevo per rimediare alle condizioni del paziente. Tuttavia, sappi che la sua situazione è seria e che ci sono solo il 12,5% di probabilità che arrivi ancora vivo a Bellatrix."
"Se andassimo su Adhara, invece?"
"Migliori, ma di poco: 18,1%."
"Sono un assassino!"
"Non è vero, Arn."
"SI', INVECE!" piangeva e si contorceva senza trovare pace. In quel momento, come un lampo attraversò la mente di Arnold. Smise di piagnucolare, si asciugò il viso e chiese: "Nora, se abbassassimo la sua temperatura corporea?"
"Stai suggerendo di rallentare il suo metabolismo?"
"Sì, esatto! In questo caso potrebbe sopravvivere?"
"Se riuscissimo ad abbassare la sua temperatura prima che sopraggiunga qualche variazione delle sue condizioni, le probabilità di sopravvivere aumenterebbero sensibilmente, Arn."
"Di quanto?"
"Da una mia stima potrebbero arrivare all'86.3%."
"È già qualcosa, no?"
"C'è un problema, non ho gli strumenti per effettuare questa procedura, Arn."
"Recupera l'inventario, fammi vedere cosa abbiamo in mezzo al nostro carico."
Arnold esaminò scrupolosamente l'elenco del materiale che stavano trasportando. Identificò una lista di componenti grazie alle quali avrebbe potuto costruire una semplice incubatrice per infilarci il corpo di Dixon e mantenerlo a una temperatura vicina allo zero celsius. Il suo metabolismo, assieme a ogni altra funzione vitale, avrebbe rallentato come risposta al freddo intenso. Con i macchinari già disponibili per mantenere le condizioni vitali attive, e con un po' di fortuna, quel bastardo sarebbe giunto vivo alla loro destinazione. A quel punto lo avrebbero affidato a un team medico specializzato e tutto si sarebbe risolto.
"Nora, devo uscire a fare spese."
"Ne sei sicuro, Arn?"
"Devo farlo, se lui muore, sarò un assassino."
"Ti sei solo difeso, Arn."
"Dì quello che vuoi, i fatti sono che io sono qui, mentre lui è steso lì. Questo non si può cambiare. Se non faccio qualcosa, ne avrò il rimorso per sempre."
Dette quelle parole si diresse verso il ripostiglio dove tenevano le tute per le uscite esterne. Il carico era enorme e quindi, per risparmiare, era ancorato a una struttura assieme alla nave spaziale. La nave accendeva i motori e spingeva in avanti portandosi dietro la struttura. Così il carico la seguiva.
Per poter recuperare quegli oggetti Arnold doveva uscire nello spazio e muoversi lungo la struttura. Era una corsa contro il tempo, perché ogni minuto che passava le condizioni di Dixon potevano peggiorare e a quel punto ogni suo sforzo sarebbe stato inutile.
Fece quattro viaggi per recuperare ogni pezzo necessario. Si mise a montare la struttura e installare i tubi necessari. Non c'era tempo per collaudarla, la portò direttamente al letto medico e chiese a Nora di infilarci Dixon. L'operazione era rischiosa perché le condizioni dell'uomo erano gravi e precarie. Ma Nora fu molto delicata e tutto si concluse rapidamente e senza rilevare variazioni significative delle condizioni di Dixon.
A quel punto Arnold si limitò a collegare i tubi ai sistemi della nave per ottenere il raffrescamento dell'interno alla temperatura desiderata. Ci vollero alcune ore per completare l'operazione perché non si poteva raffreddare il corpo troppo rapidamente. Alla fine Nora gli confermò che Dixon era stabile. Solo allora, Arnold si tranquillizzò definitivamente.
Fece un'altra doccia e poi una lunga dormita. Il giorno dopo la sua routine riprese come al solito. Ogni ora chiedeva a Nora di aggiornarlo sulle condizioni del paziente e di tanto in tanto passava a vedere di persona.
I giorni passavano tutti uguali, così le settimane e alla fine la loro meta fu davanti a loro a poche centinaia di migliaia di chilometri.
"Steady Runner chiama stazione Bellatrix XH-12, mi ricevete?"
"Qui stazione Bellatrix XH-12, avanti Steady Runner."
"Chiedo il permesso per attraccare."
"Attendete la conferma del numero di attracco prima di procedere, Steady Runner."
"Roger."
Le manovre si svolsero come al solito. Arnold aveva già avvisato le autorità di avere un ferito grave a bordo, specificò di essere stato lui a ridurlo in quello stato, dopo averlo recuperato dalla scena di un disastro.
Si presentò una pattuglia di polizia accompagnata da un gruppo di paramedici attrezzati di tutto punto. Li fece entrare e li condusse al letto medico dove aveva collocato l'improvvisata capsula criogenica che stava tenendo in vita Dixon. Mentre i paramedici si accertavano delle condizioni del paziente e lo preparavano per il trasporto, Arnold rispondeva alle domande dei poliziotti.
"Signor Reisern, mi conferma di aver recuperato tale Golstar Dixon sul luogo di un presunto incidente che ha coinvolto la nave di proprietà dello stesso Golstar Dixon?"
"Sì, lo confermo. Ho fatto una deviazione di cinque anni luce dopo aver intercettato il suo segnale di emergenza."
"Che cosa ha visto quando è arrivato sul posto?"
"Ho fatto fare una analisi alla AI della nave che ha rilevato la carcassa di un'astronave. Non sembravano esserci sopravvissuti. Alla fine ho individuato una piccola capsula di salvataggio all'interno della quale c'era il signor Golstar."
"Capisco," rispose l'agente che lo stava interrogando.
"Sono veramente dispiaciuto di quanto sia successo al povero signor Golstar. Io..."
"Va bene così, signor Reisern. Fossi in lei non ci perderei troppo il sonno."
Arnold rimase spiazzato da quella affermazione.
"Le sembrerà assurdo," proseguì l'agente, "ma quello che ha salvato non è il signor Golstar."
Arnold era disorientato: "Che cosa significa?"
"Dopo il suo intervento, anche una nostra pattuglia è giunta sul luogo del disastro. Proprio lì abbiamo trovato il cadavere del signor Golstar Dixon."
Il volto di Arnold era pietrificato: "State dicendo che in realtà..."
"Esatto. L'uomo che ha tratto in salvo è un clandestino. Deve essere riuscito a salire a bordo della nave del signor Golstar e poi lo ha assassinato."
"Ma, se non è Dixon Golstar, allora di chi si tratta?"
"Lo abbiamo appena identificato. È un certo Chester Vough, un piccolo truffatore che a suo carico ha pure rapine e atti di violenza. Ora anche un omicidio."
"Dite sul serio?"
"Sono serissimo, signor Reisern," puntualizzò l'agente. "Mi chiedo come sia riuscito a fuggire così a lungo. Quell'uomo è completamente incapace di governare una nave spaziale. Pare che l'incidente occorso al vascello del signor Golstar sia stato causato da delle impostazioni di navigazione errate."
"Capisco, in effetti ha provato a modificare la rotta anche sulla mia nave. Per fortuna non ci è riuscito, perché altrimenti avrebbe distrutto pure la mia."
"Già, signor Reisern, lei ha reso un grande servigio alla giustizia. Buona giornata."
"Buona giornata a voi, agenti."
Arnold li osservò mentre lasciavano la nave portandosi dietro Chester Vough, che lui conosceva come Dixon Golstar.
"Lo sapevo che non eri un assassino, Arn."
"Questa volta è andata bene," sorrise.
"Mi spiace per il tuo bonus."
"Non importa, venderò la capsula di salvataggio."
Se il racconto ti è piaciuto e vorresti leggerne altri, li puoi trovare qui.
Dixon è insopportabile! Ma buona l'ambientazione ;)