Il racconto del venerdì: Dopo il buio - l'anomalia
Seconda puntata: L'incontro con l'anomalia
Questa settimana pubblico la seconda parte del racconto L'anomalia. Se vi siete persi la prima parte, uscita venerdì scorso, potete recuperarla da qui.
Buona lettura!
L'anomalia
Di Alex Martell
1.Una nuova missione
2.L'incontro con l'anomalia
3.Immersi nell'oscurità
4.Lotta per la salvezza
L'incontro con l'anomalia
Il capitano Girard, Nemo, era alla sua postazione in plancia e teneva d'occhio le operazioni. Aspettava di ricevere la comunicazione da Farmi. Mancava solo la conferma che i motori erano pronti alla partenza. Erano passate appena dodici ore dalla conclusione della riunione in cui avevano aperto gli ordini della nuova missione, ma i rapporti dall'ingegneria segnalavano progressi significativi. "Non correre troppo, Narin," pensò fra sé il capitano, "ricordati che ci devi riportare a casa sani e salvi."
"AVETE CALCOLATO LE COORDINATE PER IL SALTO IPERSPAZIALE?!"
Urlò all'improvviso rompendo il normale sottofondo di tanti piccoli rumori di ufficiali intenti a operare sugli strumenti di controllo.
"Ufficiale di rotta?" Nemo fu il suo richiamo all'ordine dopo aver atteso troppo.
"Le coordinate sono pronte, capitano," rispose infine la voce di un giovane ufficiale dal corpo sottile, la fronte alta e i capelli scuri e ben pettinati, appena troppo lunghi per un ufficiale di plancia.
"Alla buon'ora!" si stizzì nervoso Girard per aver dovuto insistere prima di ricevere una risposta. Normalmente non gli sarebbe importato; avrebbe soprasseduto. Magari avrebbe fatto una battuta acida e pungente per punire il responsabile. Sarebbe stato sempre il solito bonario Nemo. In un'altra occasione, non in quella. Stavano per trovarsi di fronte a qualcosa di sconosciuto e misterioso: un vero e proprio mostro. Per questo era teso e l'aria bonaria in lui era evaporata.
Tutti erano impegnati a prepararsi per effettuare quella manovra. I salti iperspaziali erano pensati per spostare una nave su distanze enormi. Quando si operava all'interno di un sistema stellare, invece, comportavano maggiori rischi.
Oltre al calcolo delle coordinate di destinazione, serviva valutare la massa e la posizione esatta di ogni corpo che si trovava sul percorso. Durante il viaggio iperspaziale la nave non si muoveva nello spazio regolare, tuttavia era sempre sotto l'influenza dalla gravità. Saltare dalla periferia di un sistema stellare a un altro, era molto più semplice, perché nel mezzo non c'erano corpi massicci che potevano disturbare o interferire con il viaggio.
Quello che preoccupava maggiormente Girard era il dover rallentare improvvisamente all'uscita dal balzo. Nel vuoto dello spazio interstellare avevano tutto il tempo necessario per rallentare e potevano anche sfruttare quella spinta per correggere la rotta e viaggiare senza consumare altro carburante.
All'interno di un sistema stellare era un'altra storia. Si sarebbero trovati proprio di fronte all'anomalia. Un piccolo errore e ci sarebbero potuti finire dentro con conseguenze sconosciute. Meglio evitare di scoprirlo, anche se sarebbe costato molta energia. Infine, la condizione meno problematica, seppure più fastidiosa, sarebbe stata quella di averla superata e trovarsi così lontani da dover tornare indietro. Dopo essersi fermati, avrebbero dovuto manovrare per portarsi in direzione dell'anomalia e solo a quel punto, tornare indietro. Sarebbe stata una manovra molto dispendiosa. Una gran seccatura.
Mentre Girard rifletteva sulla situazione, il collegamento con la sala macchine si attivò: "Capitano," era la voce calma e allegra di Farmi, "i motori iperspaziali sono in linea e pronti al balzo."
"La sua voce melodiosa è musica per le mie orecchie, cara ingegnere capo Farmi."
Le rispose Nemo, per un momento sembrava aver ritrovato la sua aria bonaria. Poi si apprestò a impartire gli ordini necessari per effettuare la delicata manovra.
"Come sempre ha superato le mie aspettative!" disse, e poi urlò: "UFFICIALE DI ROTTA! È ancora qui con me?"
"Certo, capitano," fu la risposta. Questa volta l'ufficiale non indugiò.
"Allora immetta le coordinate e attivi l'allarme pre-balzo."
Tutte le operazioni furono eseguite e alla fine al capitano non restò che pronunciare l'ordine: "Balzo al mio via... Via!"
Una flebile vibrazione attraversò l'intera nave. Era una sensazione sgradevole; provocava un senso di freddo e vertigine. Qualcuno lamentava persino una sensazione di nausea. Secondo i medici era più autosuggestione. Entrare nell'iperspazio era sicuro. Si trattava di qualcosa che non avrebbe dovuto comportare alcun impatto sul fisico nell'essere umano e che tutte quelle sensazioni che le persone lamentavano erano dovute più all'allarme che gli avvisava di quello che stava per succedere. Non di certo a quello che poi succedeva davvero. Altri medici, una minoranza, erano in disaccordo e consigliavano una maggiore prudenza. I sintomi denunciati potevano essere l'indizio di qualcosa di concreto. Alcuni ingegneri che si erano occupati di studiare il motore iperspaziale avevano sviluppato una teoria. Il modello montato a bordo della nave spaziale Terra aveva un difetto di progettazione che provocava un certo riverbero nel tessuto spazio-tempo. I collaudi non lo rilevarono perché avvennero con sistemi automatizzati. Non c'era nessuno a bordo di quei vascelli; i controlli e i sensori installati non erano abbastanza sensibili o non erano stati progettati per misurare questo effetto. Si stavano studiando delle soluzioni per mitigare o eliminare questo inconveniente. Per gli ingegneri si trattava di qualcosa che doveva essere sistemato in un futuro modello, soprattutto perché era la causa di una perdita di efficienza del motore.
Il balzo fu istantaneo. Gli effetti del viaggio durarono più a lungo del viaggio stesso. La nave si ritrovò dall'altra parte del sistema stellare, proprio nella zona segnalata dal rapporto che accompagnava gli ordini provenienti da Nuova Terra.
"Motori in avanti: decelerare!" ordinò il capitano Girard appena riapparsi nello spazio normale.
"DATEMI LA NOSTRA POSIZIONE, PRESTO!" urlò. "Avete rilevato l'anomalia?"
"Capitano!" gli rispose un addetto ai sensori. "Penso di aver individuato l'anomalia, è proprio di fronte a noi a 286453 chilometri. È... È... È enorme..."
"È TROPPO VICINA!" disse il capitano. "Quanto è grande?"
"Capitano, non riesco a misurarla, siamo troppo vicini... Sembra che sia ovunque davanti a noi..."
"Sala macchine!" chiamò con una voce che tradiva un tremolio.
"Qui sala macchine."
"Dovete darmi tutta la potenza che potete. Dobbiamo fermarci o cambiare direzione. Siamo troppo vicini."
"Vedrò cosa posso fare," rispose Narin Farmi senza scomporsi troppo.
"Capitano, sembra che stiamo accelerando!" intervenne l'ufficiale addetto alla rotta.
"Che cosa?!" esplose il capitano.
"Sì, capitano, sembra che i motori direzionali stiano perdendo potenza."
"FARMI!" urlò a squarcia gola: "TI CHIEDO PIÙ POTENZA E MI SPEGNI I MOTORI? Ci vuoi far schiantare contro quella cosa?"
"Calmati," fu la risposta proveniente dalla sala macchine, "c'è un'avaria e ho già mandato una squadra a lavorarci. Ora aumento la potenza degli altri motori finché non riattiviamo quello che si è spento. Questo dovrebbe compensare."
Le parole della capo ingegnere ebbero l'effetto di calmare il capitano, che stava sudando visibilmente.
"Siete in posizione?" gracchiò l'altoparlante del comunicatore in mano a Sergio.
"Ci siamo quasi," rispose con una voce spenta dal fiato corto dovuto alla corsa.
"Dovete sbrigarvi," insistette la voce che proveniva dal comunicatore. Era quella di Farmi e proveniva dalla sala macchine.
"DILLE CHE STIAMO CORRENDO PIÙ IN FRETTA CHE POSSIAMO!" urlò Yuri, che guidava in testa alla squadra portando la cassetta degli attrezzi. A chiudere la fila del gruppo c'era Sarah, la più provata da quella corsa furiosa lungo il dedalo di corridoi che conducevano verso il motore che era andato in avaria.
"SIAMO ARRIVATI!" urlò Yuri dopo un attimo. Sergio lo comunicò subito a Farmi, e poi si sorbì le sue solite raccomandazioni sulla prudenza e sul seguire le procedure. Poi precisò che dovevano fare anche in fretta. Il motore, andava riattivato nel tempo più breve possibile.
"D'accordo," pensò Yuri mentre apriva i pannelli svitando i bulloni a mani nude, senza perdere tempo a cercare la chiave.
Sergio stava aprendo la cassetta degli attrezzi che il suo caposquadra aveva appoggiato sul pavimento e ne disponeva gli strumenti in modo che fossero accessibili rapidamente.
"Ci sono," disse Sarah appena li raggiunse e si precipitò subito sulle chiavi per prenderne una e affiancare Yuri nello smontare il pannello che dava accesso ai meccanismi del motore.
La diagnostica aveva rilevato semplicemente un sovraccarico, un tipo di guasto che poteva avere molteplici cause. Purtroppo i tentativi fatti dalla sala macchine attraverso le procedure automatiche non avevano dato alcun esito: il motore era rimasto spento.
Appena rimossero il pannello Sergio era pronto con il tablet impostato sullo schema tecnico del motore che passò al collega. Lui lo prese senza voltarsi, era concentrato a osservare l'intreccio di tubi e cavi che si trovava di fronte. Cercava di scrutare qualche piccola imperfezione che poteva indirizzare il suo intervento.
Non fu fortunato; quindi rivolse la sua attenzione al tablet per accedere alle procedure di diagnostica e scelse la procedura che riteneva idonea. Disse: "Cominciamo con la verifica del sistema di iniezione."
"Non dovremmo cominciare dalla verifica di potenza?" chiese Sarah.
"No," rispose secco Yuri, che poi spiegò: "quella è solo se si effettua una manutenzione ordinaria, altrimenti è possibile farla dalla sala macchine."
"Tutto a posto," disse Sarah dopo aver eseguito la diagnostica che le era stata richiesta.
Yuri portò la mano destra sul mento e cominciò a tormentarlo mentre fissava il tablet sfogliando le pagine con le varie procedure di diagnostica.
"Non capisco," disse dopo pochi minuti.
"Ditemi che cosa state combinando!?" gracchiò il comunicatore cogliendo di sorpresa Sergio, che quasi lo fece cadere.
"Allora?" insistette la voce dal comunicatore, squarciando il silenzio.
"Passamela," disse Yuri, dopo un momento, senza nemmeno voltarsi e Sergio ubbidì.
"Abbiamo eseguito una diagnostica degli iniettori," disse.
"Molto bene, non avete perso tempo con le verifiche superflue, bravi! Quindi?"
"Niente."
"KUZNETSOV, NON DIRMI CHE TE NE STAI LÌ IMBAMBOLATO?!" urlò la voce dal comunicatore.
"Sto pensando di rimuovere lo schermo esterno, aprire l'alloggiamento delle turbopompe e arrivare al sistema di ignizione, da cui accedere direttamente agli iniettori..."
"Approvo," lo interruppe la voce di Farmi, "che cosa stai aspettando?"
Spronato dalla conferma del suo capo, il ragazzo diede le istruzioni a Sarah di come cominciare l'operazione. Passò indietro a Sergio il comunicatore e il tablet, quindi cominciò a istruirlo sugli strumenti che avrebbe dovuto passare loro. Prima di restituire il tablet lo aveva posizionato sulla pagina che descriveva la procedura, che Sergio poteva seguire mentre i suoi colleghi operavano.
In circa una decina di minuti ebbero smontato tutte le parti necessarie a raggiungere il cuore del propulsore. Il passaggio per arrivare agli iniettori era molto stretto e Yuri continuava a provare, ma per quanto provasse a stendere le braccia non riusciva nemmeno a sfiorare il pezzo.
Dopo qualche tentativo si ritrasse per riprendere fiato. In quel momento la voce di Farmi squillò nuovamente dal comunicatore per richiedere un aggiornamento.
"Dobbiamo spostarci e accedere dalla camera dei servomotori," le spiegò, "da lì avremo più spazio per operare."
"No," fu la risposta di Farmi, "non abbiamo tempo!"
In quel momento Yuri notò che Sarah si era infilata completamente nell'apertura e stava cercando di uscire. L'aiutò afferrandola per le caviglie e tirandola giù. Quando la estrasse, aveva la faccia sudata e sporca, illuminata da un sorriso smagliante. In mano aveva uno degli iniettori.
Sergio e Yuri erano rimasti sbalorditi, ma un sorriso di gioia si dipinse sui loro volti.
"Prendi anche gli altri!" la incoraggiò Yuri e lei posò il primo e si tuffò nuovamente nella stretta apertura per prendere anche gli altri tre pezzi che mancavano.
"Abbiamo risolto," disse subito Yuri al comunicatore, "Sarah riesce a raggiungere gli iniettori e li sta smontando."
"Finalmente qualcuno che sa il fatto suo!" commentò la voce dal comunicatore. Yuri si immaginò il volto di Farmi con un'espressione soddisfatta e quel falso sorriso che aveva sempre mentre parlava.
Sergio aiutò Sarah a estrarre i pezzi e, quando ebbe finito, le diede una mano per uscire. Yuri era già concentrato a esaminare gli iniettori per capire se ci fosse qualcosa di rotto.
I pezzi sembravano perfetti, come nuovi. Yuri si girò verso Sarah: "Devo chiederti di infilarti nuovamente lì dentro, ce la fai?"
Sarah lo guardò un po' storto: "E tu ce la fai?" gli rispose alzandosi e infilandosi nuovamente lungo lo stretto passaggio che le permetteva di accedere al punto in cui aveva smontato gli iniettori.
"Va bene," le disse quando era arrivata in posizione, "ora dimmi se riesci a vedere il circuito di controllo."
"Lo vedo," rispose Sarah con una voce metallica dovuta alle strette pareti che la circondavano.
"Sopra c'è un pulsante grigio, premilo."
"L'ho premuto e si è accesa la lucetta verde."
"Va bene," disse Yuri mentre si massaggiava il mento con la mano destra, "va bene... Allora, controlla i tubi di aggancio."
"Sembrano a posto," rispose.
"Come? Tutti e quattro?" insistette.
"Sì, no," rispose la voce metallica, "aspetta, qui ce n'è uno deformato."
"DANNAZIONE!" urlò Yuri.
"Che problema c'è: lo possiamo cambiare." Suggerì Sergio.
Yuri scosse la testa: "Non si può."
Prese da Sergio il comunicatore e disse: "Sono i tubi. Uno si è deformato e ha causato il blocco del motore."
Ci fu silenzio, poi Yuri riprese il comunicatore: "Dobbiamo spostarci nella camera dei servomotori: è l'unico modo..."
"No," lo interruppe la voce gracchiante di Farmi, "non c'è tempo. Se non riattivate il motore in tre minuti, non potremo evitare di entrare nell'anomalia."
"Se corro posso farcela," insistette Yuri.
"No, non puoi ragazzo," gli disse la voce dal comunicatore, con poca convinzione, questa volta: "vorrei tanto che potessi farlo."
Sarah lo guardò con un'espressione interrogativa: "Che succede, perché non possiamo farlo da qui?"
Yuri la guardava; i suoi occhi erano lucidi: "Si può..."
"Allora che aspettiamo!" Disse Sarah.
"Sarah," appoggiò le sue mani sulle sue spalle, "se ti infili là dentro per rimontare gli iniettori e riconnettere i tubi, non potrai uscire."
"Che cosa?" chiese lei con un'espressione di chi si trovava in un posto sconosciuto.
"Dovrai stare dentro a fissare il tubo che hai trovato prima, mentre noi accenderemo il motore manualmente."
"Intendi che devo restare a tenere il tubo finché non ci fermeremo?" disse con un sorriso senza allegria.
"No," disse Yuri, "una volta che il motore si avvia il tubo resterà nell'alloggio da solo..."
"Quindi potrò uscire?" chiese lei; sul volto ora aveva un'espressione seria.
"No..." le lacrime scendevano sulle guance scavate di Yuri. "Quando il motore si accenderà..."
Sergio aveva letto tutto sul tablet e ora aveva appoggiato il braccio sulla parete per nasconderci la faccia. Si sentivano i suoi singhiozzi.
"Che succederà?" chiese con voce più alta Sarah.
"Sarai risucchiata," le disse con un filo di voce.
"Cominciate a uscire da lì," diceva la voce dal comunicatore, "sigillate la paratia e correte più lontano possibile da quella zona..."
"Lo farò," disse Sarah, prendendo uno degli iniettori e poi si infilò nuovamente nello stretto passaggio. Con le mani che gli tremavano, Yuri le passò gli altri pezzi man mano che li installava di nuovo.
Quando ebbe completato la riparazione, Sergio dovette trascinarlo fuori dove c'era il pannello di controllo manuale del motore, dal quale avrebbero comandato la riaccensione.
Yuri si accovacciò con le spalle appoggiate alla paratia continuando a piangere, mentre Sergio aveva lo sguardo rivolto in basso, alla fine disse: "Va bene, lo faccio io."
Attivò il pannello e inserì il comando di accensione; sentirono il ronzio del motore che si accendeva. Anche Sergio si accovacciò a fianco dell'amico, piangendo con lui. Non avevano il coraggio di guardare. Forse ancora speravano di sentire la voce di Sarah: "Voi due imbecilli! Volete tirarmi fuori, o no?"
Ma c'era solo il ronzio del motore, nient'altro.
In quel momento, sulla plancia, il capitano Girard fissava l'addetto alla navigazione. Aveva il respiro pesante di chi ha fatto una lunga corsa anche se non si era mosso. Sudava dalla fronte e aveva già due chiazze scure che cominciavano a notarsi, nonostante tenesse le braccia lungo il corpo. Tamburellava con le dita sul bracciolo della poltrona senza mai distogliere lo sguardo dalla postazione di navigazione.
"Rallentiamo!" esclamò improvvisamente l'ufficiale di navigazione, dimenticandosi il protocollo.
Nessuno fece obiezioni.
"Finalmente!" gli rispose Nemo: "Ufficiale di rotta: riusciremo a fermarci in tempo?"
L'addetto stava già eseguendo i rilevamenti prima di ricevere l'ordine e fu in grado di rispondere quasi istantaneamente alla domanda: "Sì, capitano, ce l'abbiamo fatta per un soffio!"
"Sala macchine," chiamò dopo aver attivato la linea diretta, "ottimo lavoro!"
"È stato sufficiente?" chiese la voce di Farmi dal microfono.
"Sì," Le rispose il capitano, che notò un tono diverso.
"Faccia i complimenti ai suoi ragazzi da parte mia... Da parte di tutti noi!"
"Senz'altro, la ringrazio, capitano," rispose Farmi, "credo debba sapere che abbiamo avuto una vittima."
Quelle parole tolsero immediatamente il sorriso e l'allegria a Girard e con lui si incupì il resto della plancia.
"Di chi si tratta?" chiese dopo una breve pausa. La sua voce tremava leggermente.
"Sarah Armandi," le rispose la capo ingegnere.
"Oh no! Era così giovane, una ragazza così allegra e gentile."
Nella plancia calò il silenzio; tutti avevano sentito la notizia e avevano perso l'euforia di poco prima. Si potevano sentire i movimenti delle dita sugli schermi e sui controlli. Rumori impercettibili che in quel momento sembravano tingere di una patina innaturale la sala.
Fu l'ufficiale addetto alla navigazione a rompere quel momento: "Siamo fermi, capitano."
"Spegnete i motori!" ordinò prontamente il comandante.
Prima di ricevere la conferma dell'esecuzione del suo ordine, il capitano Girard armeggiò con il comunicatore fino a instaurare una nuova chiamata: "Dottoressa Levy, siamo arrivati, aspetto da lei i dettagli della rotta da seguire. A che punto siete?"
"Capitano," rispose sorpresa la voce dall'altro capo del comunicatore, "che tempismo, stavo proprio per inviarle le informazioni che mi ha chiesto."
"Ottimo, proceda," e chiuse bruscamente la comunicazione senza attendere la formula di commiato della sua interlocutrice.
Si sentiva di pessimo umore in quel momento; chiamò l'ufficiale più alto in grado in plancia e gli affidò il comando. Così si alzò dalla sua postazione e uscì con un passo svelto per recarsi nei suoi alloggi.
Comandava quella nave da diversi anni e questa era la prima perdita che subiva. Gli incidenti capitano ovunque, pensava, ma quando succede mentre sei tu il responsabile è diverso. Entrato in cabina, si sbottonò rapidamente la giacca, camminò nervosamente avanti e indietro un paio di volte e poi se la tolse per gettarla sul letto.
Si slacciò il colletto della camica e aprì lo sportello di un comparto dal quale tirò fuori una bottiglia dal contenuto ambrato e dalla consistenza leggermente viscosa. Togliendo il tappo, l'aroma fruttato e pungente riempì la stanza, versò due dita del liquido in una tazza che stava appoggiata sulla scrivania. Lasciò la bottiglia e prese la tazza; la contemplò un momento e poi bevve d'un fiato.
Posò la tazza e ci versò dell'altro liquido, poi richiuse con cura la bottiglia e la ripose nello scomparto da cui l'aveva prelevata. Si assicurò che fosse ben chiuso e poi si concentrò sulla tazza che aveva lasciato sul ripiano. La portò alle labbra rapidamente, ma poi si fermò. Ne prese un sorso e crollò sulla poltroncina allungando le gambe e continuò a sorseggiare il suo liquore, ora a piccoli sorsi.
I giorni successivi furono piuttosto monotoni. La nave Terra si spostava in lungo e in largo per delimitare l'anomalia. La direzione veniva comunicata dalla sezione scientifica che durante tutta la navigazione eseguiva le sue misure con la strumentazione in dotazione.
L'anomalia si presentava come una macchia scura. Dava proprio l'impressione di una chiazza d'inchiostro nero su un foglio di carta, se entrambi fossero stati in tre dimensioni.
Levy aveva effettuato numerosi tentativi di acquisire dati che fossero di una qualche utilità dai suoi strumenti. L'impresa era ostacolata dalla natura di quell'oggetto misterioso. Una nebulosa scura che sembrava poter assorbire la luce e non lasciarla più andare.
Nei libri di teoria che Giuseppina Giannotti Levy aveva nella piccola libreria ricavata da un incavo del suo laboratorio, erano descritti solamente due oggetti celesti che avevano questa caratteristica di riuscire a trattenere la luce.
Il primo era il buco nero. Una stella morta, collassata a causa della gravità dovuta alla sua enorme massa. La sua forza attrattiva era tale da divorare qualunque genere di materia. Una volta raggiunta la prossimità dell'orizzonte degli eventi, non c'era alcuna possibilità di tornare indietro o di liberarsi dal molesto abbraccio.
Nemmeno la luce era in grado di liberarsi. Tuttavia, per quanto un buco nero fosse invisibile, non era in grado di schermare la radiazione elettromagnetica generata dalla massa che si apprestava a essere divorata.
Si trattava, dunque, di una stella scura al centro e luminosa ai lati dove si poteva distinguere chiaramente una corona luminosa: chiamata disco di accrescimento.
Il secondo corpo celeste era la stringa cosmica. A differenza dei buchi neri, che erano spesso rappresentati come dei punti con il nome di singolarità, le stringhe cosmiche erano più dei filamenti. Per molto tempo erano state considerate una mera possibilità teorica. Così come i buchi neri, ma poi questi ultimi erano stati osservati. Trovare uno di questi filamenti unidimensionali, ma dalla densità enorme, era una vera e propria impresa. Alla fine furono fatte delle osservazioni. Ci furono persino delle spedizioni che cercarono di percorrere per un breve tratto una di queste stringhe.
Quello che Levy vedeva quando si affacciava al lunotto presente nel suo laboratorio non assomigliava a nessuno dei due possibili candidati.
Studiare questa anomalia era molto complesso. La maggior parte degli strumenti si basavano sui fotoni, ma questi venivano assorbiti dall'anomalia, tranne quelli nello spettro dell'infrarosso.
Aveva provato a osservare la macchia, come la chiamava, all'infrarosso, ma il risultato sembrava una versione negativa di quanto si poteva osservare a occhio nudo. Una macchia bianca circondata da uno sfondo scuro.
Quando si allontanavano dall'anomalia riuscivano a osservare anche l'effetto lente. Ovvero quella proprietà della gravità di piegare lo spazio che permette di osservare la luce che proviene da dietro un oggetto celeste, se questo era sufficientemente massiccio da riuscire a piegare a sufficienza lo spazio circostante e costringere così la luce a flettersi.
Erano tutte osservazioni già fatte da Nuova Terra. Ora la scienziata era a corto di buone idee. Così era inquieta mentre sedeva di fronte al capitano Girard e alla sempre imperturbabile Farmi. La scienza non era in grado di produrre risultati immediati, a comando. Richiedeva tempo, dedizione, sacrificio e duro lavoro per ottenere progressi concreti. Ovvero qualcosa che si potesse considerare nuova conoscenza. Ma per essere considerato tale era richiesto che fosse esaminato, analizzato e verificato sotto ogni punto di vista. Solo quando un'affermazione attraversava questo rigido e metodico processo di falsificazione, volto a smentire l'affermazione stessa, e lo superava, la si poteva considerare scientificamente vera. Non si trattava di un lavoro a carico di un singolo scienziato. Erano sempre i suoi colleghi ad attaccare l'affermazione o a proporre interpretazioni alternative all'esperimento che aveva portato a quella deduzione, a rileggere le relazioni per scrutarne ogni singolo aspetto e indicare ogni errore che avessero trovato.
Per questo motivo Levy sapeva bene che prima di esporsi con nuove affermazioni speculative, doveva raggiungere una sicurezza che rasentasse la certezza che fosse vera.
"Inconcludente?" l'apostrofò il capitano Girard mentre le agitava davanti il tablet su cui stava visualizzando la sua relazione.
"Inconcludente!" ripeté a voce alta quasi volesse destare una reazione nella scienziata.
Come se fosse un investigatore della polizia di fronte a un sospettato e lo stesse interrogando per fargli confessare il delitto. In questo caso la speranza di Girard era che Levy avesse omesso, per prudenza, qualcosa dalla sua relazione e quell'esclamazione aveva lo scopo di farglielo confessare.
"Capitano," esordì Levy, "questi sono i risultati che siamo riusciti a ottenere con la strumentazione a disposizione."
Il volto del capitano era accigliato, i suoi occhi ambrati, brillanti alla luce, si erano come scuriti e la sua folta barba, di solito disordinata e bonaria, ora le appariva minacciosa.
"Non siamo qui per fare speculazioni, capitano," intervenne Farmi senza scomporsi, come sua abitudine.
"Non credo abbiate compreso l'importanza di questa missione," disse Girard senza alzare troppo la voce, ma con un tono piatto.
"A questo punto," disse Levy, "restare qui un'altra settimana o altre due, non farà alcuna differenza."
Dopo un lungo silenzio in cui le due aspettavano che il capitano dicesse qualcosa, fu Farmi a intervenire: "La cosa migliore è mandare i dettagli delle misure che abbiamo fatto. Su Nuova Terra si spremeranno le meningi. Magari inventeranno qualche nuovo strumento e nel frattempo ci affideranno una nuova missione."
Il capitano si alzò di scatto sollevandosi con entrambe le mani che aveva appoggiato sul tavolo. Aveva il respiro pesante e sul volto era apparsa un'espressione di determinazione che nessuna delle due si ricordava di avergli mai vista prima.
"Questa missione non è ancora conclusa," disse quasi sottovoce poi aggiunse: "dottoressa Levy, prepari i suoi strumenti."
Si voltò verso Farmi e le disse: "I motori sono pienamente operativi?"
"Certo," rispose la capo ingegnere con un tono sorpreso.
"Ora," Girard riprese a parlare con un tono di voce alto e deciso, "imposterò una nuova rotta che porterà la nave all'interno dell'anomalia."
"È impazzito!" tuonò Narin Farmi.
"Questi sono gli ordini," le rispose il capitano.
"Quali ordini?" chiese la donna fissando negli occhi l'uomo.
Levy se ne stava zitta e girava la testa prima su Girard, poi su Farmi. Teneva entrambe le mani appoggiate sul tavolo con i palmi verso il basso come se cercasse di tenerlo fermo. Aveva uno sguardo rigido e non sbatteva più le palpebre.
"Quali ordini, capitano?" insistette Farmi.
"I miei ordini, capo ingegnere," fu la sua risposta.
"Capitano," disse infine Levy, quasi con un sospiro, "capitano Girard, entrare all'interno dell'anomalia è un azzardo."
"Non c'è scelta," rispose laconico l'uomo che in quel momento si era spogliato di quel goliardico soprannome di Nemo.
"Provi a ragionare," insistette la scienziata, "non sappiamo cosa sia e potremmo anche schiantarci sulla sua superficie."
"Non succederà," replicò l'uomo.
"Lei sa qualcosa, non è vero, Girard?" Lo incalzò Farmi.
"Capitano, la prego."
"Che cosa sa sull'anomalia, capitano?" Insistette la donna.
"Sull'anomalia? Nulla," le rispose.
"Nulla? Davvero? Ma vuole entrarci, è impazzito?" ripeté Farmi.
"So che possiamo entraci. Anche se avrei preferito evitarlo."
Quelle parole fecero saltare in piedi Farmi e l'ira le contorse il volto.
"Una dei miei è morta per evitare di entrarci!"
Il capitano non rispose, si limitava a ricambiare lo sguardo, ma nel suo non c'era ira solo determinazione.
"Perché non ci ha detto che saremmo potuti entrare nell'anomalia?"
"Non si può," intervenne Levy, "non importa cosa creda di sapere il capitano. Se entriamo lì dentro sarà un viaggio di sola andata."
"Che cosa?" usci di bocca alla capo ingegnere, ora rivolta verso la scienziata.
La donna, ancora seduta, abbassò la testa mentre l'altra la guardava distesa in tutta la sua statuaria altezza, fissandola con quel volto ancora tempestoso.
"Non sono sicura che ci possiamo entrare in sicurezza," riprese la scienziata senza alzare la testa, "ma anche nell'eventualità che qualcosa non ci distrugga all'entrata, saremo intrappolati."
Farmi si voltò nuovamente verso il capitano Girard. Ora la sua espressione era tornata serena, ma non accennava a sedersi, restava di fronte all'uomo, sovrastandolo.
"Per caso sapeva anche questo, capitano Girard?" gli chiese con un tono quasi canzonatorio.
"Sì," gli rispose subito l'uomo che doveva alzare la testa per riuscire a fissarla negli occhi.
"E quindi ha deciso di ucciderci tutti? Perché?"
"Stiamo cercando qualcosa," disse infine il capitano.
"E quindi? Anche se troviamo questa 'cosa', moriremo tutti," sentenziò la donna.
"Non se la troviamo," disse in un tono più neutro il capitano.
"Capitano," intervenne nuovamente la dottoressa Levy che ora aveva alzato la testa, "non so cosa pensa di trovare dentro quella nebulosa scura, ma non c'è nulla che possa aiutarci se ci entriamo."
"Sono gli ordini," insistette Girard.
"Davvero?" replicò Farmi che proseguì senza dare l'opportunità al capitano di parlare: "Oppure la verità è che sia impazzito. Magari quel suo vizietto le ha danneggiato abbastanza cervello da farle perdere lucidità."
"Intende ammutinarsi?" l'accusò serio il capitano. Sul volto ora aveva un'espressione severa.
"Se il capitano non è in grado di comandare," gli ribatté Farmi, "non si tratta di ammutinamento."
"SMETTETELA!" urlò improvvisamente Levy, interrompendo il litigio fra i due.
"Ora sedetevi," ordinò. "Capitano, si spieghi. Se vuole proseguire con la missione deve darci delle argomentazioni che possiamo accettare. Lo capisce?"
I due si sedettero, anche se Farmi attese che fosse Girard ad abbassarsi per primo, poi lei fece altrettanto.
Una volta seduti, il capitano appoggiò i gomiti sul tavolo e unì le punte delle dita che poi infilò sotto il mento quasi fossero un puntello per reggere l'intera testa. Infine disse: "Immagino sia necessario darvi qualche dettaglio in più. Ma tenete presente che io stesso non so molto in proposito."
Il locale della mensa era vuoto e buio a quell'ora. L'illuminazione completa veniva accesa solo quando era previsto il servizio, per il resto del tempo la sala viveva in una grigia penombra dovuta a poche lucette che rimanevano attive.
Farmi entrò a passo sicuro e si diresse senza esitazioni nell'angolo opposto all'entrata dove si poteva distinguere una sagoma sul pavimento. L'ombra si muoveva a volte con piccoli scatti, altre con spostamenti che sembravano al rallentatore. A volte emetteva qualche piccolo rantolo che accompagnava il ronzio delle celle frigo poste al di là del bancone da cui venivano servite le vivande.
Una volta giunta in prossimità della sagoma, la donna sferrò un calcio.
"Ahi! Che diavolo succede?" era la voce biascicata di Yuri Kuznetsov che si stava riprendendo da una ennesima sbornia a base di vodka, come testimoniava la bottiglia vuota che stava rotolando a fianco al suo corpo.
Farmi sferrò un secondo calcio: "ALZATI E DATTI UNA RIPULITA!"
"Sono fuori servizio, capo!" fu la sua risposta.
"Sergio ha ripreso i turni da tre giorni, non ci sono più scuse."
Il corpo steso per terra si rigirava e si sentivano dei mugugni che probabilmente volevano essere una specie di protesta.
"ALZATI, HO DETTO!"
A quelle parole il ragazzo si concentrò e, con quello che sembrava uno sforzo enorme, si mise seduto con la schiena appoggiata al sedile di un divanetto.
"Non voglio tornare in servizio," disse con una voce poco convinta.
"Ah sì? E chi si occuperà dei tuoi turni?" lo incalzò Farmi.
"Sergio," rispose, "nomini lui caposquadra. Ha detto che si è già ripreso..."
"Non ne ha le capacità. Abbiamo bisogno di te e delle tue competenze."
"La missione è finita, non c'è nulla da fare per uno come me."
"Ti sbagli, fra una manciata di ore la nave entrerà nell'anomalia."
"Che cosa?" quella frase sembrava avergli cancellato la sbronza come potevano fare solo un forte caffè nero e una doppia dose di analgesico. Yuri schizzò in piedi e fissò dritto negli occhi il suo capo. Nell'ombra non riusciva a distinguere completamente i suoi lineamenti delicati, aveva solo la sensazione che l'espressione sul suo volto fosse seria.
Mancava quel suo caratteristico sorriso, quella smorfia che accompagnava le parole di Farmi quando parlava. Solo la sua voce era rimasta calda e morbida come sempre. Pensarlo gli lasciò una strana sensazione, come di qualcosa di irreale.
"SARAH È MORTA PER IMPEDIRE CHE FINISSIMO DENTRO QUELLA COSA!"
"Lo so..." si limitò a dire Farmi prima di essere nuovamente interrotta.
"...ora mi vuole dire che entreremo lì dentro di nostra iniziativa? A che cosa è servito il suo sacrificio?"
Yuri si voltò e tirò un forte calcio a un tavolo che si trovava lì e lo fece rovesciare.
"DANNAZIONE!"
Farmi restò in silenzio, aspettando che si calmasse da solo.
"Calmati, adesso," gli disse con un tono perentorio. "Abbiamo bisogno di te, perché se dobbiamo entrare nell'anomalia la nave deve essere in condizioni perfette."
Yuri aveva cominciato a piangere e sembrava non ascoltarla.
"Non sappiamo che cosa potremmo trovare là dentro," insistette.
"E ALLORA PERCHÉ ANDARCI?" si mangiava le parole per via del pianto.
"Perché è quello che significa esplorare. Noi siamo esploratori, non dimenticarlo."
Pronunciate quelle parole, la donna uscì decisa, come quando era entrata, senza voltarsi, mentre Yuri si accasciò sulla panca continuando a piangere.